The psychologist role in youth sports

Il ruolo dello psicologo dello sport è diventato complesso e articolato, richiede quindi l’avere avuto l’opportunità di sviluppare esperienze professionali specifiche e non può di certo essere improvvisato attraverso un percorso formativo che non abbia alla sua base la laurea specialistica in psicologia.

In caso contrario, il rischio è di affidare giovani adolescenti in fase di formazione, atleti di livello internazionale nella preparazione dei più importanti eventi agonistici, allenatori alla ricerca di una carriera vincente a chi ha avuto una formazione non pertinente o fuori dai percorsi ufficialmente riconosciuti.

Particolare sviluppo ha avuto la psicologia applicata all’attività giovanile sia quella tipicamente rivolta ai bambini (6-12/13 anni) che quella che interessa le età superiori che segna in modo specifico le età delle scuola media superiore (14-19 anni). La Federazione Italiana Gioco Calcio e la Federazione Italiana Tennis sono le uniche organizzazioni sportive italiane che si sono dotate di un sistema di sviluppo dei giovani in cui è previsto lo psicologo dello sport che lavora insieme agli allenatori e ai preparatori fisici. Questo sistema è stato apprezzato dalle società sportive di calcio e tennis nella misura in cui il professionista è riuscito a intervenire a supporto della struttura e del lavoro degli insegnanti con interventi sul campo e stabilendo rapporti significativi con il gruppo dei genitori, così da sollevare dirigenti e tecnici da questo tipo di problematiche. Inoltre, dal punto di vista della relazione pedagogica e delle strategie didattiche utilizzate in campo per favorire gli apprendimenti, gli psicologi hanno potuto fare valere le loro competenze in questo campo e facilitare gli apprendimenti e lo sviluppo della motivazione degli allievi.

Al di là di queste esperienze positive, diffuse anche a livello internazionale, resta comunque elevato nello sport svolto durante l’infanzia e la prima adolescenza il rischio della specializzazione precoce, della selezione del talento svolta in modo non appropriato, dell’esclusione di molti bambini magari solo perchè in sovrappeso o più in ritardo dal punto di vista biologico, di un eccesso di competizioni con un relativo poco tempo a disposizione del gioco spontaneo (deliberate play) e di un ruolo dei genitori più motivati a orientare i figli verso una carriera sportiva precoce piuttosto che centrata sullo sviluppo a lungo termine delle loro qualità. complessive. Da non dimenticare sono gli episodi di violenza sempre più frequenti nell’attività giovanile di cui sono protagonisti proprio i genitori durante le competizioni.

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