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I poster di Parigi 2024

Nello spirito di uguaglianza che è diventato un tratto distintivo dei prossimi Giochi, Paris 2024 ha scelto di non fare distinzione tra le Olimpiadi e le Paralimpiadi nel design dei poster. Come con la fiaccola e le mascotte, i poster sono collegati e uniti.

Lunedì 4 marzo, una versione gigante dei poster è stata esposta al Musée d’Orsay di Parigi. Rimarranno lì fino al 10 marzo per consentire ai visitatori provenienti da tutto il mondo di vederli.

“È un nuovo, momento chiave nella storia di Parigi 2024″, ha detto il presidente di Parigi 2024, Tony Estanguet, all’evento in cui sono stati rivelati i poster. “Abbiamo cercato di essere diversi e di immaginare poster che ci assomigliano, poster che vanno oltre un semplice logo.”

Parigi 2024 ha assunto Ugo Gattoni, un illustratore parigino con uno stile vibrante, per creare i poster. Ha lavorato nel suo studio dal 19 settembre 2023 al 19 gennaio 2024, trascorrendo un totale di 2.000 ore per creare i due poster che diventeranno un simbolo duraturo dei Giochi Olimpici e Paralimpici di Parigi 2024.

Paris 2024 poster

Obesità, Oms: è una malattia cronica multifattoriale complessa

La Globesity - come è stata chiamata dall’economista ed agronomo italiano Andrea Segrè – evidenzia che i costi globali del sovrappeso e dell’obesità raggiungeranno i 18 trilioni di dollari annui entro il 2060.

Oms definisce l’obesità una malattia cronica multifattoriale complessa caratterizzata da eccessivi depositi di grasso, che possono compromettere la salute, dovuta ad ambienti obesogeni, fattori psicosociali, variabili genetiche nonché da fattori eziologici maggiori come malattie, farmaci, immobilizzazione forzata, procedure iatrogene.

In un ambiente obesogeno è limitata a livello strutturale la disponibilità di cibo sano e sostenibile a prezzi localmente accessibili, manca una facile e sicura mobilità fisica nella vita quotidiana ed è assente un contesto giuridico e regolamentare adeguato.

La progressione verso l’obesità è aggravata dalla mancanza di una risposta efficace da parte del sistema sanitario che non riesce ad identificare precocemente nelle fasi iniziali l’aumento di peso in eccesso e la deposizione di grasso nelle persone che rischiano così maggiormente di ammalarsi.

La persona obesa presenta un aumentato rischio di sviluppare malattie cardiache, diabete di tipo 2, tumori. L’obesità influenza significativamente anche la salute delle ossa e la riproduzione ed impatta sulla qualità di vita, come muoversi e dormire bene.

L’obesità infantile e adolescenziale comporta conseguenze psicosociali negative, da un minor rendimento scolastico al peggioramento della qualità di vita. E’ aggravata dallo stigma, dalla discriminazione e da diffusi fenomeni di bullismo.

 

 

Come migliorare la relazione con l’atleta?

Spesso gli allenatori chiedono come potrebbero migliorare il loro rapporto con gli atleti/e che allenano.

La mia prima risposta è sempre di consigliargli di ascoltarli e di parlare più spesso con loro. Alcuni capiscono mentre dicono che non ne hanno il tempo. Ribadisco che è meglio fermare l’attività 10 minuti prima per parlare con loro che allenare la tecnica per 10 minuti in più.

Gli atleti come ogni altro umano hanno bisogno di condividere pensieri ed emozioni. Non serve solo fare, serve anche imparare che bisogna dare parole a quello che si è fatto in allenamento e in gara. Non basta solo fare, bisogna anche saperselo spiegare e farlo sapere agli altri attraverso un processo di osservazione e valutazione di se stessi. Questo non è forse parte dell’allenamento? O per allenamento si deve intendere solo fare delle esercitazioni, come un robot che fa senza conoscere il significato di quello che fa e, quindi, non può capirne il significato per sé.

Più semplice e meno impegnativo per l’allenatore è somministrare gli esercizi con la speranza che si avveri quello che insegna, così come un medico somministra una medicina a un paziente.

L’allenatore dovrebbe uscire da questa ambiguità del volere guidare con un approccio solo direttivo e privo di interesse  verso la costruzione dell’autonomia e lo sviluppo delle capacità decisionali del giovane.

L’attività motoria è efficace nel trattamento dei disturbi psicologici

Ben Singh, Timothy Olds, Rachel Curtis, Dot Dumuid, Rosa Virgara, Amanda Watson,  Kimberley Szeto, Edward O’Connor, Ty Ferguson, Emily Eglitis, Aaron Miatke, Catherine EM Simpson, Carol Maher. From Alternative to Mainstay: the overwhelming evidence supporting physical activity as a treatment for anxiety and depression.

Ci sono migliaia di studi di ricerca che esaminano l’impatto dell’attività fisica nel trattamento dell’ansia, della depressione e/o dello stress. La nostra revisione ha incluso un totale di 97 revisioni sistematiche, che comprendono 1039 studi e 128.119 partecipanti.

In sintesi, i risultati mostrano chiaramente che l’attività fisica ha effetti moderati sulla depressione, l’ansia e il disagio psicologico rispetto alle cure usuali in tutte le popolazioni. I maggiori benefici sono stati osservati nelle persone con depressione, HIV e malattie renali, nelle donne in gravidanza e postpartum, e negli individui sani.

L’attività fisica ad alta intensità è stata associata a miglioramenti maggiori nei sintomi. L’efficacia delle intenzioni dell’attività fisica diminuiva con l’aumentare della durata delle intenzioni.

L’entità di questi benefici è comparabile e leggermente superiore a quelli dei farmaci e della psicoterapia. Esiste un corpus molto ampio e rigoroso di prove scientifiche che dimostrano che l’attività fisica è efficace nel migliorare la depressione e l’ansia. Questi benefici si applicano a una vastissima gamma di popolazioni.

Sebbene tutti i tipi di attività fisica siano efficaci, un’attività fisica ad alta intensità è associata a un maggior beneficio. I risultati di questa revisione a ombrello sottolineano il significativo potenziale dell’attività fisica nel migliorare gli esiti della salute mentale e supportano l’integrazione delle intenzioni dell’attività fisica nel trattamento della salute mentale.

La crisi della Juventus

La situazione psicologica della Juventus può essere interessante da capire, poichè a mio avviso dimostra un’idea consolidata della psicologia. L’idea sarebbe che quando le aspettative vengono deluse per non avere ottenuti il risultato per cui sino a poco si stava lottando, le prestazioni successive vengono compromesse dall’affermarsi del pensiero secondo cui non c’è più niente da fare.

In assenza di conoscenze dirette questa è un’ipotesi, che mi sembra in ogni caso abbastanza probabile. Non potendo più lottare per tentare vincere il campionato, La Juventus è ritornato al solito modo stanco di giocare, che ha bisogno di trovarsi in difficoltà per trovare la motivazione per cambiare.

E’ curioso che calciatori di qualità cadano in questa trappola psicologica, creata da loro stessi, senza mettere in atto delle forma di resistenza a questa caduta motivazionale. Una squadra non dovrebbe ragionare in questo modo, che portano a perdere contro squadre evidentemente di livelli inferiore, ma questo non serve se gli avversari giocano e loro si limitano a una gestione ordinaria e lenta del gioco.

Questa involuzione mentale dei giocatori dovrebbe venire contrastata da allenatore e staff. Si è visto che è durata per almeno tre partite dopo la sconfitta con l’Inter. Sono più di 270 minuti giocati alla meno peggio. Come possono giocatori e squadra giustificare a se stessi individualmente e cone collettivo quest momento negativo così prolungato?

Mi sembra di sentire le parole di Al Pacino, in qualità di allenatore, in Ogni maledetta domenica, quando dici ai giocatori: “O risorgiamo come collettivo o saremo annientati individualmente”.

 

29 anni da questo video esilarante di Crujiff

Video esilarante di quando Johan Crujiff tentava nel 1995 d’insegnare a Hristo Stojchkov a saltare la corda. Che bellezza

VIDEO Stoichkov, l'ex Pallone d'oro compie 55 anni: riguarda lo sketch con  Johann Cruijff e il disastroso salto con la corda! - Mediagol"Quando

Il valore della diversità in squadra

La diversità all’interno di una squadra è un valore importante per diversi motivi:

  1. Ampiezza delle competenze: Una squadra composta da individui con background, abilità e prospettive diverse è in grado di affrontare una gamma più ampia di sfide. Questo perché ciascun membro può contribuire con le proprie competenze uniche, fornendo soluzioni innovative e prospettive differenziate.
  2. Creatività e innovazione: La diversità favorisce la creatività e l’innovazione. L’incontro di idee e punti di vista differenti può stimolare la generazione di nuove idee e approcci innovativi a problemi complessi.
  3. Resilienza: Una squadra diversificata è in grado di adattarsi meglio ai cambiamenti e di affrontare le avversità in modo più efficace. Poiché ogni membro ha esperienze e competenze diverse, la squadra può trovare soluzioni alternative anche in situazioni difficili.
  4. Rappresentatività: La diversità all’interno di una squadra può riflettere meglio la diversità della società in generale. Questo può favorire una maggiore accettazione e comprensione delle esigenze e dei punti di vista di persone provenienti da background diversi.
  5. Apprendimento e sviluppo personale: Lavorare in una squadra diversificata offre ai membri l’opportunità di imparare dagli altri e di sviluppare una maggiore apertura mentale. L’esposizione a prospettive e culture diverse può favorire la crescita personale e professionale.
  1.  Migliore presa di decisioni: La presenza di persone con prospettive diverse può portare a una valutazione più completa delle opzioni disponibili e quindi a decisioni più informate e ponderate.
  2. Migliore performance: Studi hanno dimostrato che le squadre diverse tendono a ottenere risultati migliori rispetto a quelle omogenee, poiché possono sfruttare al meglio le capacità di ciascun membro e affrontare una varietà più ampia di problemi.
  3. Riduzione dei rischi di conformismo: La presenza di persone con background e punti di vista diversi può aiutare a prevenire il conformismo all’interno della squadra, incoraggiando la sfida e la discussione aperta delle idee.
  4. Migliore reputazione e attrazione di talenti: Le organizzazioni che promuovono la diversità e l’inclusione tendono ad avere una migliore reputazione e ad attrarre talenti di alto livello provenienti da una varietà di contesti e culture.

In conclusione, la diversità all’interno di una squadra porta a una serie di vantaggi, tra cui decisioni migliori, migliori performance, crescita del mercato, riduzione dei rischi di conformismo e miglior reputazione, rendendo così la diversità un valore cruciale per il successo della squadra.

 

Sport è divertimento e muoversi pensando

Quando mi viene chiesto di parlare dei giovani che fanno sport, soprattutto sino a 14 anni, aldilà di ogni spiegazione teorica quello che voglio evidenziare e l’importanza del divertimento e del muoversi pensando.

Divertirsi vuole trarre piacere da un’attività per come la si fa, per l’energica fisica e mentale che s’impiega, senza avere uno scopo specifico da raggiungere o un risultato da ottenere.

Muoversi pensando riguarda, invece, imparare a giocare a calcio, a tirare di scherma piuttosto che giocare a tennis avendo sempre un’idea in testa che guida le azioni del giovane. Tutto ciò può avvenire in modo grossolano se si è principianti o in modo tecnicamente sempre migliore mano a mano che si procede in questa esperienza. In altre parole, non c’è movimento senza pensiero, per cui imparare o allenarsi significa muoversi rappresentandosi mentalmente l’esecuzione tecnica.

Una pratica sportiva che garantisce questo tipo di sviluppo stimola positivamente la motivazione a continuare nell’impegno e favorisce quella convinzione così necessaria per diventare esperti in qualche attività e cioè che “miglioro grazie al mio impegno”.

Purtroppo la mete dei giovani nella maggior parte dei casi non è rivolta a soddisfare queste due esigenze. Molti si allenano per imparare uno sport così come molti gareggiano per vincere. La questione non fare bene uno sport ma trovarsi a proprio agio nel fare quello che piace. L’obiettivo non è fare una bella azione o un punto o un gol ma esprimere al meglio le proprie capacità. Nel tennis ad esempio molti ragazzi vogliono tirare forte per fare subito punto, senza avere la volontà di costruirsi con il gioco l’occasione di chiudere lo scambio. In questo tirano ma non pensano.

Questo modo di fare è l’antitesi dello sport.

La leadership per gli allenatori di élite

Gomes, A.R., Araújo, V., Resende, R., & Ramalho, V. (2018). Leadership of elite coaches: The relationship among philosophy, practice, and effectiveness criteria. International Journal of Sports Science & Coaching, 13(6) 1120–1133.

La filosofia del coaching è un argomento importante sia nella letteratura sul coaching che nell’ambito dell’educazione. Tuttavia, ci sono poche ricerche riguardanti il modo in cui le filosofie dei coach si traducono nella pratica. Inoltre, c’è molto poca informazione sui criteri specifici di efficacia che i coach utilizzano per valutare le proprie filosofie e pratiche.

Questo studio affronta il complesso insieme di relazioni tra le filosofie dei coach, le percezioni della loro pratica e i criteri di efficacia. Dieci coach d’élite sono stati selezionati per lo studio (9 maschi; 1 femmina), tutti con carriere di successo nei rispettivi sport.

I coach hanno risposto a una intervista che trattava i temi della filosofia, della pratica e dei criteri di efficacia.

I risultati hanno indicato quattro temi principali:

  • l’importanza della motivazione degli atleti
  • l’importanza di costruire una relazione con gli atleti basata sul rispetto personale
  • la presenza di elevati livelli di coesione all’interno della squadra
  • la necessità di regole formali e informali che regolano il funzionamento della squadra.

Ci sono state diverse aree in cui i coach non hanno stabilito una relazione tra filosofia, pratica e criteri di efficacia. I risultati suggeriscono la necessità di educare i coach riguardo ai metodi per stabilire una relazione tra le loro filosofie, le loro pratiche e i criteri di efficacia che utilizzano per valutare le proprie performance come coach.

 

La relazione profonda tra arte e cervello: una forma di auto-cura

Lo studio della relazione  tra le scienze del cervello e le arti è stato per la prima volta coniato “neuroestetica” alla fine degli anni ’90 da Semir Zeki,  neuroscienziato e docente all’University College di Londra. Gran parte della ricerca iniziale si è concentrata sull’estetica empirica, esaminando le basi neurali che sottendono il modo in cui percepiamo e giudichiamo opere d’arte ed esperienze estetiche.

Antonio Damasio, neurologo che studia i sistemi neurali sottostanti l’emozione, la presa di decisione, la memoria, il linguaggio e la coscienza presso l’Istituto per il Cervello e la Creatività dell’Università della California del Sud, afferma: “La gioia o il dolore possono emergere solo dopo che il cervello registra cambiamenti fisici nel corpo”. Continua, in un’intervista a Scientific American Mind: “Il cervello riceve costantemente segnali dal corpo, registrando ciò che sta accadendo dentro di noi. Successivamente elabora i segnali in mappe neurali, che poi compila nei cosiddetti centri somatosensoriali. I sentimenti si verificano quando le mappe vengono lette e diventa evidente che sono stati registrati cambiamenti emotivi”.

La psicoterapeuta artistica Sofie Dobbelaere, concorda sul fatto che recarsi in una galleria per ammirare l’arte può essere un’esperienza di guarigione potente. “Quando osserviamo l’arte, ci connettiamo con la nostra umanità e quindi entriamo in dialogo con qualcosa al di fuori di noi stessi e questo può aiutarci a sentirci connessi e come se facessimo parte di qualcosa di importante”.

La cultura frenetica del tutto e subito ci porta a consumare le opere d’arte nello stesso tempo che dedichiamo a leggere una email. Talvolta, però, l’arte riesce a imporci di osservare un quadro o un’installazione per un tempo più lungo. Gli esperti suggeriscono di “guardare lentamente”, di gustare quindi un’opera d’arte, di spendere del tempo anche per diversi minuti o andare in un museo anche solo per contemplare un’unica opera. Le gallerie sono piene di opere incredibili, ma osservare solo una su un livello più profondo può essere incredibilmente significativo.

Susan Magsamen, ha messo in luce che il 95% degli adulti nel Regno Unito sia d’accordo sul fatto che visitare musei e gallerie sia benefico ma che il 40% li visita meno di una volta all’anno.  I mesi invernali sono il momento perfetto per visitare le mostre e per prendersi cura di se stessi cone questa forma di auto-trattamento psicologico.