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Qualità di un grande allenatore

Il Comitato Olimpico Internazionale ha pubblicato questo testo che riguarda l’identificazione di quali le qualità principali di un grande allenatore. Sono interessanti, poiché aldilà delle differenze di individuali descrivono dimensioni psicologiche molto simile a quelle di qualsiasi altro leader chi guidi in altri ambiti gruppi di successo.

Non esiste un’unica corretta modalità di allenare un atleta. Hai il tuo stile di allenamento unico che funziona e che nessun altro può replicare. Tuttavia, ci sono alcune caratteristiche comuni a tutti i grandi allenatori, indipendentemente da come vengono applicate.

  1. COMPRENSIONE DELLO SPORT - Per poter insegnare efficacemente, devi avere una comprensione approfondita dello sport, dalle abilità fondamentali alle tattiche e strategie avanzate. Gli allenatori devono pianificare per la stagione, comprendere la natura progressiva dell’adattamento all’allenamento, conoscere le regole e fornire un ambiente semplice e strutturato per far sì che gli atleti abbiano successo.
  2. VOLONTÀ DI APPRENDERE - Sebbene un buon allenatore sappia molto dello sport, devi continuare a imparare e sviluppare nuove tecniche di allenamento. Rimanere aggiornati e informati sulle nuove ricerche, sull’allenamento e su tutto ciò che supporta il processo di coaching è un segno di un grande allenatore. Frequentare corsi su argomenti come la psicologia dello sport, la nutrizione e la fisiologia dell’esercizio è un’ottima idea ed è facilmente accessibile per qualsiasi allenatore che voglia crescere e migliorare.
  3. CONDIVISIONE DELLA CONOSCENZA - Ottenere conoscenza è importante, ma avere la fiducia di condividere e cercare i pareri degli altri, specialmente quelli al di fuori del tuo sport, è una qualità chiave. I migliori allenatori capiscono chiaramente che sono lì per educare gli atleti.
  4. ABILITÀ MOTIVAZIONALI - Un allenatore di successo è un motivatore con un atteggiamento positivo e entusiasmo per lo sport e per gli atleti. Il divertimento e il piacere sono i pilastri del coaching di successo. Quando si motiva un giocatore, un buon allenatore sottolinea il tentativo di raggiungere obiettivi di prestazione, non solo obiettivi finali.
  5. CONOSCENZA DELL’ATLETA - Essere consapevoli delle differenze individuali degli atleti è un ingrediente importante per l’eccellenza nell’allenamento. Personalizzare la comunicazione e la motivazione per atleti specifici è vitale per un coaching di successo.
  6. COMUNICAZIONE - Un allenatore efficace comunica bene ed emana credibilità, competenza, rispetto e autorità. La comunicazione chiara significa fissare obiettivi definiti, dare feedback diretti e rinforzare i messaggi chiave.
  7. ABILITÀ DI ASCOLTO - Parte della comunicazione efficace è l’ascolto. Un allenatore efficace cercherà attivamente informazioni dagli atleti e li incoraggerà a presentare idee e pensieri.
  8. DISCIPLINA - Gli atleti devono attenersi a un insieme ragionevole di regole sia sul campo che fuori, e se queste vengono ignorate, l’allenatore è responsabile della disciplina. La fiducia tra atleta e allenatore è fondamentale in ogni momento ed è essenziale per un coaching di successo.
  9. GUIDARE CON L’ESEMPIO - Un allenatore efficace guida con l’esempio. Si attengono alle stesse regole che si aspettano dagli atleti e mostrano rispetto e ascolto nei confronti degli atleti.
  10. IMPEGNO E PASSIONE - I migliori allenatori sono fortemente impegnati nello sport e nel successo, mostrando un impegno chiaro nel guardare al meglio degli interessi degli atleti singoli. L’allenamento è un lavoro che richiede un impegno costante, poiché i migliori allenatori vivono e respirano l’arte del coaching.

La complessità di lavorare con squadre di professionisti

About – International Society of Sport Psychology

DATE: Wednesday, April 3rd, 2024 Speakers: Dr. Gloria Balague Length of Session: 90 minutes (60-minute lecture, 30-minute Q&A) Language: English (Live captioning in English and other languages) Time: 12:00 UTC

(New York 8:00, Belo Horizonte, 9:00, London 13:00; Beijing 20:00, Taipei, 20:00, Seoul 21:00) Where: Zoom (Link sent upon registration)

Program Overview 

In this presentation, Dr. Balague will outline the essentials of providing sport psychology services to professional athletes, teams, and organizations. She will discuss how to gain entrance in these organizations and how to engage with the different stakeholders, such as management, coaches, medical staff, sport scientists, and athletes. Dr. Balague will highlight the importance of understanding coaches’ areas of interests/concerns and communication and coaching styles, and team strategies, as well as the value of building effective relationships with medical and sports science personnel, scouts, and equipment staff. Furthermore, Dr. Balague will delve into the core of her work with players and athletes, spanning from educational efforts to targeted interventions. Dr. Balague will share her expertise on the critical need to grasp the unique demands placed on athletes, their interactions with coaches, and their roles within the team. Dr. Balague will wrap up the presentation with a discussion around the organizational challenges and considerations associated with delivering sport psychology services in professional sport organizations, offering attendees a deep dive into the intricacies of successfully navigating this specialized area of work.

About our speaker 

Dr.Gloria Balague is a native of Barcelona, Spain. She is a Clinical Associate Professor Emerita in Psychology at the University of Illinois at Chicago. She has worked extensively with USA Track & Field, USA Gymnastics and USA Field Hockey. Dr. Balague was at the 92 and 96 Olympics as sport psychologist. She has been the sport psychologist for the Chicago Bears from 2015-2020, and for the USA Rhythmic Gymnastics program from 2016 to 2023. 10 years ago, she joined Don Hellison in starting the TPSR Alliance (tpsr-alliance.org) a group aiming at using sport and physical activity as a tool to promote personal and social responsibility in youth. Dr. Balague was the first President of the Catalan Association of Sport Psychology, Past-President of Division 47 (Sport and Exercise Psychology) of the APA, and also of Division 12 (Sport Psychology) of the International Association of Applied Psychology, and in 2016 received the Outstanding Professional Practice Award from the Association of Applied Sport Psychology. Dr. Balague has imparted doctoral level courses in Sport Psychology in Spain, Argentina and Chile and advised doctoral dissertations in several countries.

Program Format Attendees can participate in an ISSP Master Class session right from their office or home. Registrants will be provided the Zoom link upon registration to access the presentation right on the web in real time. If you are unable to watch the session live, a recording will be provided afterward to all registrants.

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Il ruolo attuale della psicologia dello sport

Un modo per capire il ruolo che lo sport e l’attività motoria svolgono nella nostra società riguarda l’ampiezza che la ricerca scientifica ha raggiunto. Per restare solo nell’ambito della psicologia dello sport e dell’esercizio sono decine i libri scientifici e di applicazione pratica che ogni anno vengono pubblicati ed è probabile, per difetto, che ogni anno vengano pubblicati più di 5.000 articoli scientifici.

Ho avuto la fortuna di essere parte di questo sviluppo. Quando ho iniziato vi erano solo due riviste al mondo di psicologia dello sport e pochi manuali fra cui in italiano quello di Ferruccio Antonelli e Alessandro Salvini e in inglese Psychological foundations of sport  a cura di John Silva e Robert Weinberg. Non esistevano ancora manuali per allenatori, come fece più tardi la Scuola dello Sport mentre in Canada già dalla metà degli anni ’70 vi erano testi di psicologia dello sport per loro. In quegli anni non era facile essere aggiornati. Antonelli mi ha aiutato in questo, poichè potevo leggere i libri che riceveva e facevo la traduzione in italiano degli abstract delle due riviste. Inoltre, iniziai a sviluppare i rapporti con l’International Society of Sport Psychology (ISSP) per conto della rivista International Journal of Sport Psychology e, quindi, nel 1987 partecipai al mio primo meeting a Varna con il managing council dell’ISSP conoscendo Vanek, Singer, Salmela, Roberts, Unestahl.

Ora la psicologia dello sport svolge un ruolo significativo nell’ambito della psicologia e delle scienze motorie e dal punto di vista applicativo la sua funzione è riconosciuta nel miglioramento delle prestazioni degli atleti e dei gruppi e nello sviluppo del benessere psicologico. Nessuno dice più “non sono mica matto” quando gli si chiede se è seguito dallo psicologo dello sport, frase invece con cui la mia generazione è cresciuta e a cui ha dovuto imparare a rispondere, spiegando l’utilità di questo lavoro.

Ora i dati della scienza ci sostengono in modo incredibile rispetto a 40 anni fa e come esperti dobbiamo saperli utilizzare, perchè non si può certo più dire che non si si sa dove trovare le informazioni, in questo internet è un veicolo estremamente utile a costo zero che chiunque lo voglia può utilizzare.

 

 

Disagio dei giovani causato dall’incompetenza degli adulti

Il tema dell’ansia e depressione di  molti giovani  è ovviamente drammatico e mi sembra si tenda a risolvere la questione  tramite il bonus per la psicoterapia e  l’introduzione dello psicologo a scuola. A questo quadro manca comunque la considerazione di un tassello importante: la formazione psicologica degli insegnanti. Direi anzi degli adulti che lavorano con i giovani. Questo allargamento riguarda quindi anche i genitori e gli allenatori. Non conosco quale sia la preparazione psicologica e pedagogica degli insegnanti della scuola, conosco invece molto bene quella degli allenatori e sono convinto che con poco si potrebbe fare molto di più per migliorare le loro competenze.

Quando dico questo ai dirigenti delle società sportive, di solito mi spiegano che non immagino quanti problemi da risolvere debbano quotidianamente affrontare e che anche volendo non potrebbero permettersi ulteriori spese. Purtroppo è la stessa risposta che mi danno da 30 anni e riflette la loro idea di sport: allenamento, gare e pagare tutti poco. Mi ricordo quando con Barbara Benedetti, segretario del settore giovanile e scolastico della FICG, ormai 20 anni fa riuscimmo a fare diventare obbligatoria la figura dello psicologo all’interno delle scuole calcio. Vi era scritto nel documento che andava alle società che lo psicologo doveva fare cinque incontri all’anno con genitori e allenatori. Le prime volte che qualche psicologo cominciò a proporsi per questo ruolo nelle società al posto del compenso gli veniva detto che avrebbe ricevuto la divisa della società e sarebbe stato invitato alla cena di Natale. Ovviamente, di fronte al rifiuto di questo scambio, si arrivava a definire il pagamento di questa consulenza. In quel periodo stilai anche una lista di attività che, oltre a queste riunioni, prevedeva altre azioni da svolgere in quell’ambito specificandone il rispettivo compenso. Le davo ai colleghi perchè potessero muoversi in quell’ambiente in modo più professionale. A molte società ho anche proposto di aumentare il costo dell’iscrizione di 10 euro all’anno, la differenza che si otteneva poteva essere il costo dello psicologo. Non volevo mi si dicesse non possiamo farlo per problemi economici.

Questo racconto serve a fare capire che l’ambiente sportivo, e m’immagino anche quello scolastico, è un luogo dove i cambiamenti, le innovazioni sono viste come minacciose. Oggi che molti allenatori sono laureati in scienze motorie la situazione di base è migliorata perchè hanno studiato psicologia all’università ma ancora non svolgono tirocini su come s’insegna nelle varie fasce di età, e non vi sono corsi federali che abbiamo questo specifico orientamento applicativo. Inoltre, il lavoro di allenatore è in larga parte sottopagato e, quindi, allontana molti dal volersi ulteriormente formare mentre è usato da altri per giustificare le loro carenze e il loro procedere in funzione delle loro idee, senza mai verificarle.

Su questa base è difficile che i giovani che mostrano difficoltà psicologiche trovino in questi adulti un supporto psicologico adeguato. Molti genitori a loro volta tendono a demandare alla scuola e allo sport la totale formazione psicologica dei loro figli nascondendosi dietro la retorica del “mica si studia per fare i genitori”.

Su queste basi e sulla schiavitù indotta dall’uso dei social è difficile che i giovani che manifestano problemi psicologici possano trovare soluzioni. Più facile fare passare il loro disagio per malattia così se ne occuperanno gli esperti e gli altri adulti che interagiscono con loro tireranno finalmente un respiro di sollievo.

Il calcio per bambini con grave autismo

Cei, A., Sepio, D. (2022). A case study of psychological empowerment of three children with Autism Spectrum Disorder (ASD) through football coaching. International Journal of Sport Psychology, 53(3), 281-302.

Il disordine dello spettro autistico (ASD) è un disturbo dello sviluppo che compare nei primi tre anni di vita ed è caratterizzato da problemi di comunicazione, deficit nell’interazione sociale, interessi e comportamenti ripetitivi e limitati. Sebbene lo sport offra l’opportunità di promuovere lo sviluppo psicosociale e motorio delle persone con disabilità intellettiva, sono state condotte poche indagini per identificare il metodo di allenamento più adatto ai bambini con ASD (Bremer et al., 2016). Lo scopo di questa ricerca è stato quello di studiare lo sviluppo psicologico e motorio di tre bambini con ASD grave.

I bambini sono stati inseriti in un programma sportivo chiamato “Calcio Insieme”, durato 8 mesi e comprendente due sessioni di allenamento settimanali. Lo sviluppo delle competenze psicosociali e interpersonali dei partecipanti è stato valutato attraverso interviste semistrutturate con i genitori prima e dopo l’intero periodo di attività. È stato valutato anche attraverso l’osservazione sistematica del comportamento dei bambini durante l’allenamento da parte di uno psicologo dello sport per tutta la durata del programma.

I tre bambini hanno migliorato le loro capacità motorie e interpersonali grazie al programma di allenamento. Il modello di allenamento e i metodi di valutazione hanno rivelato il ruolo chiave dello sport e del calcio nello sviluppo motorio e psicosociale dei bambini con ASD.

Lo sviluppo a lungo termine dell’atleta

Questo breve articolo nasce dall’esigenza di fare conoscere anche ad allenatori, preparatori fisici, medici e psicologi dello sport  quali sono le linee guida per lo sviluppo a lungo termine dell’atleta e in che modo l’allenatore possa guidare questo processo attraverso la stimolazione della motivazione degli atleti.

Introduzione

Lo sport ha conosciuto in questi ultimi 30 anni uno sviluppo incredibile, che si è manifestato attraverso:

  1. Il coinvolgimento di milioni di giovani
  2. La creazione di migliaia di nuove società sportive e di operatori del settore
  3. L’incremento della produzione scientifica in questo ambito
  4. La ricerca di nuovi e più adeguati programmi di allenamento per l’infanzia e l’adolescenza
  5. La monetizzazione dell’attività sportiva giovanile
  6. La scomparsa del gioco-sport organizzato liberamente dai giovani
  7. La totale dominanza degli adulti nell’organizzazione dello sport
  8. La ricerca sempre più precoce del talento sportivo
  9. La presenza significativa dei genitori nella formazione sportiva dei loro figli
  10. La diffusione dello sport fra i giovani con disabilità fisica e intellettiva

Nonostante questo grande sviluppo nel mondo dello sport sono presenti molti problemi che limitano lo sviluppo sportivo dei giovani, nonché sono causa dell’abbandono che si manifesta a partire dai 14 anni e che è particolarmente grave nelle ragazze. Le difficoltà esistenti nello sport sono state così identificate:

  1. Imposizione di programmi per adulti ai bambini,
  2. Imposizione di programmi maschili alle  ragazze,
  3. Programmi di allenamento maggiormente basati sul risultato (vincere) piuttosto che sul processo (allenamento),
  4. Gli allenatori migliori si dedicano allo sport agonistico e di livello assoluto,
  5. I programmi non prendono in considerazione lo sviluppo biologico e i processi mentali dei giovani,
  6. Il ruolo dei genitori è male definito,
  7. Le competenze psicologiche non sono integrate nel processo di allenamento,
  8. Avviamento precoce alla pratica di un solo sport,
  9. Competizione fra le organizzazioni sportive per accaparrarsi i giovani,
  10. Disinteresse nei confronti dei giovani adolescenti che non sono interessati all’attività agonistica.

Sulla base di queste considerazioni è necessario che le organizzazioni sportive s’impegnino nel coinvolgere i giovani in un programma sportivo che fornisca loro l’opportunità di:

  1. sviluppare e mantenere permanente nel tempo uno stile di vita fisicamente attivo,
  2. sviluppare il loro potenziale sportivo.

A completamento della pratica sportiva, uno degli elementi più importanti per lo sviluppo dei giovani consiste nel fornire occasioni e ragioni per sviluppare il loro senso di appartenenza, non solo nei riguardi della società sportiva ma anche della comunità più ampia in cui agiscono quotidianamente e che comprende la scuola, i genitori e gli amici.

Pertanto deve essere posto in primo piano non solo lo sviluppo sportivo, anche la realizzazione di quella rete sociale di cui i giovani fanno parte; composta in prevalenza da adulti (genitori, insegnanti e allenatori) che abitualmente non dialogano tra loro se non nelle modalità più istituzionali.

L’allenamento sportivo

Nel corso di questi ultimi 40 anni sono stati proposti diversi modelli per tentare d’identificare il talento sportivo ma anche strategie per incrementare la partecipazione allo sport nei giovani e per ridurne l’abbandono precoce.

Ciò nonostante a partire dalla metà degli anni ’80 vi sono stati alcuni significativi cambiamenti nell’affrontare la questione del talento e più in generale la questione dello sviluppo dell’atleta. Tali modificazioni sono state attribuite principalmente a tre aspetti:

  1. La difficoltà nel condurre progetti di ricerca necessariamente ampi e molto articolati per identificare il talento ma che nel contempo non avevano soddisfatto le aspettative che si erano create nel decennio precedente. Dal “Simposio sui problemi del talento nello sport” (Bartmus et al., 1987), venne suggerita l’idea che la ricerca avrebbe dovuto spostarsi dal concetto di scoperta del talento a quello di guida del talento e sviluppo di ciò che si poteva chiamare sorveglianza del talento.
  2. La valorizzazione di approcci olistici e non tradizionali al fine di arricchire quanto era stato sinora riscontrato tramite i metodi scientifici più ortodossi. Nella psicologia dello sport Martens (1987) sostenne che dall’ambito della conoscenza esperienziale  degli atleti potevano emergere molte informazioni utili per gli allenatori e che questa poteva essere indagata con sistemi idiografici e studi sul campo.
  3. I risultati derivati dall’analisi  dell’evoluzione della carriera di un gruppo di 120 talenti praticanti differenti attività dimostrò come era possibile servirsi di altri modelli, molto diversi da quelli sino ad ora prospettati (Bloom, 1985) e ciò in sintonia con quanto sostenuto da Martens per comprendere come si costruisce la maestria nelle scienze, nelle arti, nello sport e nella musica.

Allo scopo di raggiungere questi obiettivi alcuni fra i Comitati Olimpici più importanti (e.g., USA, Canada, Regno Unito) hanno condotto indagini e adottato programmi che si sono basati e continuano tuttora a fondarsi su un approccio denominato “Modello dello Sviluppo a Lungo Termine dell’Atleta” sviluppato da Istvan Balyi e altri colleghi. Il modello è rivolto a tutti coloro che vogliono fare sport e propone un approccio a lungo termine che se non viene sviluppato rappresenta una forte limitazione allo sviluppo  sportivo e incrementa la probabilità di un abbandono precoce, che può rappresentare il primo gradino di una carriera da sedentario.

Il modello si basa sulle ricerche condotte nell’identificazione di come si sviluppa l’expertise nei contesti sportivi. Questi studi hanno evidenziato che sono necessari dai 10 ai 12 anni di allenamento per raggiungere livelli di eccellenza. Questo dato è stato denominato la legge dei 10 anni o delle 10.000 ore. Per atleti, allenatori e genitori questo consiste in un periodo di allenamento giornaliero di circa quattro ore per un lungo periodo di anni. Questa impostazione contrasta l’idea, purtroppo diffusa, degli adulti coinvolti nello sport che vogliono fare raggiungere livelli di competenza elevati in tempi molto più brevi, mentre è noto che è richiesto un impegno a lungo termine per ottenere risultati di valore. In altri termini non esistono scorciatoie per avere successo nello sport.

Il modello costituisce un approccio di sviluppo dello sport centrato sull’atleta e sui suoi processi di sviluppo, proponendo un approccio il più possibile individualizzato dei giovani sportivi e centrato sulla loro età biologica e non su quella cronologica. Un esempio di questa impostazione viene fornita da una pubblicazione della Federazione Badminton inglese laddove dice:

“Il modello LTAD offre molto di più di programma di sviluppo del talento… stabilisce un insieme di abilità motorie che permetteranno a tutti i bambini di sviluppare un senso di riuscita, dando a quegli atleti che non raggiungeranno l’alto livello una direzione per il loro sviluppo nello sport. L’acquisizione di abilità trasferibili permetterà ai bambini di diventare competenti in un certo numero di sport e pertanto aumenta la probabilità che continuino a svolgere attività fisica durante l’arco della loro vita, incrementando la longevità e la qualità della vita.” (Badminton, England,  2005).

Analogamente il Canadian Sport Centres (2006) scrive:

“ LTAD è un veicolo di cambiamento. Differisce dagli altri modelli di sviluppo dell’atleta poiché riconosce che l’educazione fisica, lo sport a scuola, lo sport competitivo e le attività ricreative sono reciprocamente interdipendenti. LTAD è in aperto contrasto con il sistema sportivo canadese vigente. Tradizionalmente l’educazione fisica nella scuola, lo sport ricreativo e lo sport di elite si sviluppano in maniera separata. Questo approccio è costoso e non efficace. Fallisce nell’assicurare che a tutti i bambini, includendo anche coloro che potrebbero scegliere di diventare atleti di elite, sia dato un solido fondamento e una conoscenza di base – fisica, tecnica, tattica e mentale – su cui costruire le loro abilità sportive. 

Questo approccio si basa sul lavoro condotto da Istvan  Balyi si articola in sei fasi all’interno delle quali i giovani svolgono attività volte a  svilupparne appieno il potenziale. Il modello di sviluppo a lungo termine dell’atleta (LTAD) è un approccio centrato sull’atleta ed è costruito sulla base delle conoscenze sulla crescita umana e sullo sviluppo. Tutti i giovani seguono le stesse fasi di crescita dall’infanzia all’adolescenza e da questa all’età adulta, sebbene vi siano differenze significative nel tempo e nell’ampiezza dei cambiamenti che avvengono. L’LTAD sottolinea la necessità di un approccio individualizzato nello sviluppo dei giovani e centrato sulla maturazione biologica e non sull’età cronologica. Il modello permette inoltre agli allenatori di ottimizzare i “periodi critici” di adattamento dell’atleta. L’LTAD ha definito un certo numero di fasi durante le quali i giovani vengono esposti a determinati stimoli allo scopo di produrre il massimo del risultato. Sono state, pertanto, identificate sei fasi, ognuna delle quali ha l’obiettivo di permettere all’atleta di sviluppare abilità semplici e via-via sempre più complesse.

Sport training

Over the past 40 years various models have been proposed to attempt to identify sporting talent but also strategies to increase participation in sport in young people and to reduce early dropout.

Nevertheless, since the mid-1980s there have been some significant changes in addressing the issue of talent and more generally the issue of athlete development. These changes have been attributed mainly to three aspects:

The difficulty in conducting necessarily large and highly articulated research projects to identify talent but at the same time had not met the expectations that had been created in the previous decade. From the “Symposium on the Problems of Talent in Sport” (Bartmus et al., 1987), the idea was suggested that research should have shifted from the concept of talent discovery to that of talent guidance and development of what could be called talent surveillance.
The enhancement of holistic and nontraditional approaches in order to enrich what had hitherto been found through the more orthodox scientific methods. In sport psychology Martens (1987) argued that much useful information for coaches could emerge from the domain of athletes’ experiential knowledge and that this could be investigated with idiographic systems and field studies.
The results derived from the analysis of the career development of a group of 120 talents practicing different activities showed how it was possible to make use of other models, very different from those hitherto envisaged (Bloom, 1985) and this in keeping with what Martens advocated for understanding how mastery is constructed in the sciences, arts, sports and music.

In order to achieve these goals, some of the most prominent Olympic Committees (e.g., USA, Canada, UK) have conducted surveys and adopted programs that have been based and still continue to be based on an approach called the “Athlete’s Long-Term Development Model” developed by Istvan Balyi[1] and other colleagues. The model is aimed at all those who want to play sports and proposes a long-term approach that if not developed is a major limitation to athletic development and increases the likelihood of early dropout, which can be the first step in a sedentary career.

The model is based on research conducted in identifying how expertise is developed in sport settings. These studies have shown that it takes 10 to 12 years of training to reach levels of excellence. This figure has been called the 10-year or 10,000-hour law. For athletes, coaches and parents, this consists of a daily training period of about four hours over a long period of years. This approach counteracts the unfortunately widespread idea of adults involved in sports that they want to have high levels of competence achieved in a much shorter time, whereas it is well known that a long-term commitment is required to achieve valuable results. In other words, there are no shortcuts to success in sports.

The model constitutes a sports development approach centered on the athlete and his or her developmental processes, proposing as individualized an approach as possible of young sportsmen and women and centered on their biological rather than chronological age. An example of this approach is provided by a publication of the British Badminton Federation where it states:

“The LTAD model offers much more than talent development program…it establishes a set of motor skills that will enable all children to develop a sense of achievement, giving those athletes who will not reach the high level a direction for their development in sport. The acquisition of transferable skills will enable children to become proficient in a number of sports and therefore increases the likelihood that they will continue to engage in physical activity throughout their lives, increasing longevity and quality of life.” (Badminton, England, 2005).

Similarly, Canadian Sport Centres (2006) writes:

” LTAD is a vehicle for change. It differs from other models of athlete development because it recognizes that physical education, school sport, competitive sport, and recreation are mutually interdependent. LTAD is in open contrast to the current Canadian sports system. Traditionally, school physical education, recreational sport, and elite sport have developed separately. This approach is expensive and ineffective. It fails to ensure that all children, including those who might choose to become elite athletes, are given a solid foundation and knowledge base-physical, technical, tactical, and mental-on which to build their sports skills.

This approach is based on the work led by Istvan Balyi consists of six phases within which young people engage in activities designed to develop their full potential. The long-term athlete development model (LTAD) is an athlete-centered approach and is built on knowledge about human growth and development. All young people follow the same stages of growth from childhood to adolescence and from adolescence to adulthood, although there are significant differences in the time and magnitude of changes that occur. The LTAD emphasizes the need for an individualized approach in youth development and centered on biological maturation, not chronological age. The model also allows coaches to optimize “critical periods” of athlete adaptation. The LTAD defined a number of phases during which youth are exposed to certain stimuli in order to produce maximum results. Six phases have, therefore, been identified, each of which aims to enable the athlete to develop simple and gradually more complex skills.

 

Allenamento: 10 idee per riflettere

Oggi al Master di Psicologia dello Sport abbiamo parlato di allenamento con il Prof. Bruno Ruscello, Università Tor Vergata.

Cosa abbiamo imparato:

  1. La capacità di ascoltare, guidare e dare feedback costruttivi per un allenatore è importante.
  2. Troppo spesso l’allenamento dei giovani viene lasciato ad allenatori poco esperti.
  3. L’aspetto invisibile dell’allenamento è importante tanto quanto quello visibile.
  4. L’aspetto invisibile riguarda lo stile di vita dell’atleta.
  5. Il data scientist è un ruolo essenziale di cui servirsi a ogni livello di competenza, trovando gli adattamenti necessari.
  6. L’allenatore è una persona curiosa che deve approfondire e ampliare continuamente le sue competenze.
  7. Allenamento è uscire dalla zona di comfort.
  8. Per un giocatore sono decisivi: anticipazione, capacità decisionale, rapidità, capacità di cooperazione.
  9. L’allenatore è un visionario che costruisce scale per raggiungere i suoi sogni.
  10. il gioco di squadra non è la somma delle prestazioni dei singoli ma il prodotto della loro cooperazione.

 

Riflessioni su un cammino di 40 anni di lavoro

Il 2021 mi porta una ricorrenza: sono 40 anni che lavoro come psicologo dello sport. Il prof. Mario Bertini mi presenta al Prof. Ferruccio Antonelli e grazie alle mie conoscenze linguistiche  mi diede l’incarico di tradurre in italiano gli abstract dell’International Journal of Sport Psychology e di ricercare notizie sulla psicologia dello sport pubblicate sulle riviste internazionali, così da potere scrivere la rubrica di news della rivista. Un lavoro piuttosto noioso, ma che è stata la base per i miei rapporti internazionali che mi hanno portato a far parte negli anni del Managing Council della FEPSAC e dell’ISSP. Per fortuna  nel contempo con altri colleghi avevamo vinto un finanziamento per un’indagine sulle squadre di Serie A1 e A2 di pallavolo, e così iniziò il lavoro di consulenza per la Fipav, su incarico di Gianfranco Briani, allora segretario generale, che durò in modo continuativo per 7 anni. Un lavoro complesso ma interessante, spaziando dallo studio e diffusione del minivolley, alla consulenza per gli arbitri del massimo livello e per le nazionali femminili. Considero la pallavolo e la collaborazione con Carmelo Pittera e Carmelo Bosco, l’ambiente sportivo nel quale mi sono formato professionalmente. E’ sui campi di pallavolo che ho sviluppato le miei competenze nei tre ambiti che non ho mai più abbandonato nella psicologia dello sport: la formazione degli allenatori, la consulenza psicologica con squadre e atlete/i e la ricerca applicata allo sport.

In questi anni, non ho mai perso l’entusiasmo per questo lavoro e ancora oggi lo continuo a trovare di grande ispirazione, entrare in contatto con gli atleti, seguire e supportare le  loro prestazioni, vivere le loro vittorie, aiutarli a rialzarsi dopo le sconfitte, questo è il mio impegno, ieri come oggi. Nello sport  lo psicologo era percepito come  un oggetto estraneo intriso di “troppa teoria” e l’insegnamento che ho tratto da Antonelli è stato di imparare a rapportarmi e a scrivere “chiaramente” per essere compreso, a stare sul pitch con chi si allenava.  Non è stato semplice imparare ma è stato molto utile. Questo approcci, lo stare alla pari sul campo tutti i giorni,  l’ho utilizzato subito con gli allenatori e, in effetti, ho scoperto cha mi aiutava molto nell’acquisire  la loro fiducia, anche i più restii ad accettare lo “psicologo” perchè condividevo il loro vissuto quotidiano. Nel 1984 ho lavorato con la nazionale femminile junior di volley che aveva un allenatore cinese. Lui mi diceva che dovevo parlare al cuore delle ragazze e per raggiungerlo non potevo di certo esprimermi in modo teorico. Conoscevo praticamente a memoria il libro appena uscito di R. Weinberg e J. Silva, “Foundation of sport psychology”, e il mio impegno fu tradurre i concetti teorici in strategie e azioni pratiche per allenare mentalmente la squadra. Tre anni dopo, il risultato di questo lavoro di adattamento dei dati scientifici al lavoro di consulenza è stata la pubblicazione del libro “Mental training: guida all’allenamento psicologico degli atleti”, un programma di allenamento mentale organizzato su 8 settimane.

Il lavoro di consulente  è un rapporto costante con altri e come tutti i confronti è soggetto ad alti e bassi e negli anni vi sono stati diversi momenti di difficoltà e d’interruzione  improvvisa del percorso lavorativo senza apparenti perché, ma sono stati superati grazie ad altre opportunità. Ho imparato nel mio percorso  lavorativo che questo lavoro è sempre in continua evoluzione,  nuovi dati scientifici, nuove ricerche da selezionare, da gestire, nuove tecnologie  a cui si sommano i continui  cambiamenti nella società in cui viviamo. Un costante adattamento e risposta ai cambiamenti nella mentalità di allenatori/trici e atlete/i, all’importanza sempre maggiore dei i risultati sulla carriera di uno sportivo, le nuove opportunità di lavoro dallo sport come espressione di benessere, allo sport nell’infanzia e nell’adolescenza, il ruolo importante dei genitori, la concorrenza di altri professionisti non psicologi, l’assenza almeno in Italia del ruolo trainante delle grandi organizzazioni sportive nella diffusione del nostro lavoro, la diffusione della consulenza online, non solo a causa della pandemia,  e l’allargamento della consulenza agli esports e allo sport paralimpico.

Questa evoluzione è stimolante per chi svolge come me questa professione e sono consapevole  che nei prossimi anni il lavoro dello psicologo dello sport diventerà sempre più rilevante, soprattutto in questa fase di innegabile fragilità emotiva e  motivazionale di questa era pandemica. Ma dovrò. anzi dovremo, proprio perchè psicologi,  essere pronti a cogliere la positività e le opportunità che ogni stagione di cambiamento porta sempre con sé. Quale è il consiglio mi dò per i prossimi anni se guardo indietro alla strada già fatta? Essere curiosi sempre, seguire le evoluzioni  dello sport, questo prisma poliedrico dalle mille sfaccettature, approfondire innovazioni nella psicologia dello sport e le esperienze eccellenti ormai diffuse in tutto il mondo. Come diceva Winston Churchill il successo è ciò che succede tra un fallimento e un altro. Quindi, andiamo avanti con calma ma senza fermarci.

I numeri possono apparire freddi ma aiutano a trasmettere il senso del mio lavoro di questi 40 anni:

  1. 1300 atlete/i circa seguiti
  2. 116 programmi di mental coaching per allenatori
  3. 30 anni di direzione dell’International Journal of Sport Psychology
  4. 36 anni come docente di psicologia della Scuola dello Sport
  5. 17 libri pubblicati da me o in collaborazione con allenatori e colleghi
  6. 16 anni come Presidente della Società Italiana di Psicologia dello Sport da me fondata con altri colleghi
  7. 12 atlete/i che hanno vinto una medaglia alle Olimpiadi
  8. 12 anni da membro direttivo e poi tesoriere Federazione Europea di Psicologia dello Sport e ora nel Managing Council dell’International Society of Sport Psychology
  9. 7 le nazioni di cui sono stato consulente (Cina, Cipro, GB, India, Iran, Malta, UAE)
  10. 7 olimpiadi estive (da Atlanta 1996)
  11. 2 partecipazioni come consulente ai Giochi del Commonwealth con India e Malta

 

 

La psicologia dello sport in Australia

Leggiamo questa approfondita e lunga intervista di Robert Nideffer a Jeff Bond, Direttore del Department of Psychology dell’Australian Institute of Sport, effettuata 20 anni fa dopo le olimpiadi di Sydney. E capiamo quanto in Italia siamo distanti anni luce da questo tipo di organizzazione e consapevolezza del ruolo dello psicologo dello sport.

 Nideffer: Qual è il ruolo del servizio di psicologia dello sport fornito dall’Australian Institute of Sport Psychology (AIS) e quando è cominciato?

Bond: Il Dipartimento di Psicologia dell’AIS è sorto all’inizio del 1982 come parte di un Centro Multidisciplinare di Scienze dello Sport e di Medicina dello Sport. L’AIS ha iniziato la sua attività a Canberra nel 1981 come risposta del governo australiano agli scarsi risultati ottenuti alle Olimpiadi di Montreal nel 1976.  Sino a quel momento lo sport era basato sulle società sportive, si avevano allenatori  e dirigenti che erano dei volontari. Da quel giorno il governo si assunse la responsabilità di sovvenzionare lo sport e attualmente i contribuenti forniscono allo sport 135 milioni di dollari ogni anno per promuovere lo sport a qualsiasi livello.  L’AIS fornisce programmi residenziali e programmi per periodi di tempo anche brevi per gli atleti di elite.

Attualmente il Dipartimento di Psicologia impiega 6 psicologi dello sport a tempo pieno. Questi sono tutti laureati e abilitati ad esercitare la professione di psicologo e devono essere membri dell’Australian Psychological Society’s College of Sport Psychologists. Ciò significa che hanno studiato per sei anni psicologia, scienze dello sport e psicologia dello sport e devono avere un minimo di due anni di supervisione in psicologia dello sport.

Nideffer: Quali servizi di psicologia dello sport vengono forniti agli atleti e agli allenatori?

Bond: Gli psicologi forniscono consulenze ad atleti singoli con appuntamenti gestiti all’interno del Centro di Medicina e di Scienze dello Sport. La maggior parte degli atleti viene autonomamente, molto meno frequenti sono i casi in cui è l’allenatore o un’altra persona ancora a chiedere un intervento per un giovane. Il Dip. di Psicologia organizza inoltre molti workshop per le squadre/gruppi. Abitualmente gli psicologi vengono assegnati a gruppi di sport specifici e vi lavorano per diversi anni, partecipando alle gare nazionali e a quelle internazionali. Questo sistema determina un grande numero d’incontri informali fra psicologo, allenatore e atleta.

Cinque psicologi dell’AIS sono stati alle Olimpiadi di Sydney e gli sport coperti da questo gruppo sono stati i seguenti: canottaggio, nuoto, atletica leggera, tiro con l’arco, triathlon, calcio maschile e femminile, pallavolo, tiro a volo, boxe e ginnastica. Complessivamente sono stati però 12 gli psicologi presenti a queste ultime olimpiadi. Il programma di psicologia che l’AIS fornisce ad atleti e allenatori copre un’ampia gamma di servizi:

  •  Allenamento per l’Incremento della Prestazione – Si tratta di un approccio educativo allo sviluppo delle abilità psicologiche direttamente connesse alla prestazione di elite. Esempi di programmi di allenamento includono: goal setting/motivazione e professionalità, allenamento al controllo dell’attivazione, allenamento al controllo attentivo, imagery e visualizzazioni, allenamento al controllo emotivo, preparazione alla gara e debriefing, routine nella competizione, abilità per viaggiare, allenamento al controllo cognitivo, educazione all’alcool e alle droghe ricreative, e così via.
  • Allenamento allo Sviluppo Personale – Questo programma pone l’accento sui bisogni degli atleti e degli allenatori di potenziare un certo numero di life skills che possono essere applicate al di fuori dello sport o dopo aver concluso la carriera sportiva. Ad esempio: leadership training, comunicazione interpersonale, risoluzione dei conflitti, abilità a condurre interviste e servizi agli sponsor.
  • Management dello stile di vita – Questo programma aiuta a trattare con efficacia problemi causati da un disequilibrio tra gli obiettivi estremi della carriera sportiva e le questioni riguardanti il più ampio stile di vita. Ad esempio: gestione dello stress o del tempo, e la consulenza nell’ambito delle relazioni interpersonali.
  • Dinamiche di gruppo/squadra – Questa area del programma si focalizza sulla complessità dello sviluppo e del mantenimento di una squadra efficace. Riguarda questioni quali: leadership e posizioni di responsabilità, sistemi di comunicazioni, gestione dei meeting, cultura di squadra,  regole di squadra e gestione dei comportamenti.
  • Interventi su fattori critici – Sono, inoltre, forniti servzi che rientrano nell’ambito della psicologia clinica, fra cui: comportamenti di controllo del cibo e del peso, depressione, traumi infantili o adolescenziali e abuso di sostanze. In ogni caso,  quando si prospetta un trattamento a lungo termine il giovane, per continuare la terapia o la riabilitazione, viene inviato a centri specialistici con cui si è in contatto.

Nideffer: All’AIS avete un programma standard per gli atleti?

Bond: In breve la risposta è no. Sono convinto che i programmi standardizzati possono essere utili solo in particolari situazioni, quando il contatto diretto è problematico  o a livello di attività giovanile. Da noi l’attenzione è rivolta a programmi individualizzati  per atleti, allenatori e squadre di elite. Nel canottaggio, ad esempio, gli atleti sono più vecchi rispetto alle ginnastica femminile. Pertanto, imporre ad ambedue i gruppi lo stesso programma di psicologia impedirebbe di comprendere le peculiarità di queste discipline e i modi di affrontarle da parte di allenatori e atleti. Anche i workshop che vengono tenuti sono sempre molto specifici e costruiti sulle esigenze che devono essere soddisfatte.

Nideffer: All’AIS vi servite di test psicologici? Se sì, per quali motivi li utilizzate e come sono presentati agli atleti?

Bond: All’AIS l’unico test di cui ci serviamo regolarmente è il Test of Attentional and Interpersonal Style (TAIS). L’ho introdotto nel 1982 e l’ho scelto poiché esamina un vasto numero di caratteristiche attentive e interpersonali correlate alla performance di alto livello. Usiamo il TAIS in congiunzione con il colloquio individuale con l’atleta, il resoconto degli allenatori e l’osservazione degli allenamenti/competizioni da parte dello psicologo. In tal modo viene elaborato un profilo psicologico che incrementa negli atleti e negli allenatori la comprensione relativa ad aspetti  che impattano sulla prestazione. Penso che il TAIS sia particolarmente utile per spiegare la complessità dell’attenzione in termini operativi, pratici e facili da capire.

Altri test sono utilizzati in funzione di specifiche necessità. Ad esempio, abbiamo usato per lungo tempo il POMS, servendocene in maniera molto pratica per incrementare la consapevolezza degli allenatori e degli atleti nei riguardi degli stati emotivi connessi alle prestazioni e per formulare delle srategie operative per il miglioramento dell’umore.

Nideffer: Come viene accettato il servizio di psicologia dello sport che voi offrite?

Bond: E’ gratificante vedere come la psicologia dello sport sia ben accettata all’AIS e più in generale nello sport australiano. Mi ricordo che nel 1982 quando iniziai questa esperienza era guardato con molto sospetto dalla maggior parte degli atleti e allenatori. All’interno della comunità la psicologia era poco considerata e regnava una cultura sportiva tradizionale (che ancora esiste oggi in qualche piccola area) che non riconosceva o discuteva le “debolezze”. Naturalmente, in Australia nel 1982 la storia della psicologia dello sport era molto scarsa, ma le cose cambiarono rapidamente. Il primo coinvolgimento all’AIS fu con il nuoto e fui il primo psicologo australiano a partecipare alle Olimpiadi  (Los Angeles, 1984). La squadra ebbe molti successi e, come è ovvio, molti altri team presero nota del tipo di servizi che erano stati forniti. Così a Seoul gli psicologi divennero tre, sette a Barcellona, nove ad Atlanta e 12 a Sydney. Questi psicologi sono accreditati presso squadre olimpiche specifiche così da poter trovare una collocazione, anche fisica, alle Olimpiadi. A partire dal 1988 alcuni psicologi sono stati anche accreditati ai Giochi Olimpici Invernali.

L’accettazione degli psicologi è stata anche favorita da interventi fatti dagli stessi psicologi ai collegiali delle squadre per illustrare il loro lavoro e dalle lezioni tenute nei corsi di formazione/aggiornamento per allenatori. La pubblicazione di articoli scientifici e divulgativi è servita ad innalzare ulteriormente il profilo della psicologia dello sport.

Gli psicologi sono anche attivi nello sport professionistico di alto livello e questo ha incrementato l’accettazione di questa disciplina da parte dei media e del mondo dello sport. Gli sport in cui la presenza degli psicologi è maggiormente diffusa sono il tennis, golf, pallacanestro, football, surfing e sport motoristici.

Nideffer: Quali sono i servizi che apprezzano maggiormente gli allenatori e gli atleti?

Bond: E’ difficile rispondere a questa domanda, perché la popolarità di un programma è dipendente dalla fase della preparazione alle competizione. Ad esempio, nelle fasi iniziali dell’allenamento atleti e allenatori sono più interessati a orientarsi verso lo sviluppo personale, la gestione delle problematiche connesse allo stile di vita e all’allenamento delle abilità mentali di base. Avvicinandosi alle competizioni, lo sviluppo personale e lo stile di vita diventano meno importanti e al loro posto assumono rilevanza elementi più specifici della competizione. In viaggio, mi sono trovato più coinvolto in attività di rinforzo dei piani della competizione (spesso tramite la visualizzazione), di ripasso delle abilità psicologiche necessarie alla competizione, di incremento della fiducia e di gestione delle dinamiche di gruppo. Ho trovato che la cultura di squadra e la capacità degli allenatori di lavorare in maniera coesa tra di di loro e di gestire efficacemente la squadra sono aspetti molto importanti.  Problemi possono insorgere  in allenamento o in gara, ma per me è evidente che lo stress aggiuntivo associato con le principali competizioni spesso fa emergere questioni che si sarebbe dovuto risolvere all’inizio della preparazione, pertanto la presenza dello psicologo è assolutamente necessaria. Ho visto che quando lo psicologo viaggia con la squadra molti problemi  possono venire immediatamente affrontati. Ioltre, saremo considerati a pieno titolo membri dello staff tecnico e di supporto solo se possiamo rinforzare le strategie di incremento della prestazione e contribuire alla prestazione globale della squadra. Infine, quando accade qualcosa di negativo, lo psicologo è in grado di fornire un contributo efficace. Gli allenatori ricordano sempre gli incidenti critici, anche dopo anni possono ricordare cosa è accaduto e come hanno risolto il problema. Secondo me, questo avviene perché questi incidenti avrebbero potuto incidere molto negativamente sugli individui e sulla squadra.  Il test reale dell’efficacia dell’intervento dello psicologo ma anche dell’allenatore, non è di certo quando va tutto bene ma invece dopo un errore o in un periodo critico.

Nideffer: Gli atleti attribuiscono valore e/o percepiscono la necessità dei servizi di psicologia dello sport?

Bond: In generale penso di sì. Vi è comunque un certo numero di persone che non la pensano in questo modo. Talvolta dipende da precedenti esperienze con la psicologia dello sport. Ho notato che gli atleti che hanno lavorato con psicologi dello sport troppo orientati in senso accademico sono spesso colpiti dalla distanza che intercorre fra la teoria e la pratica. Atleti e allenatori sono persone molto pratiche e ricercano soluzioni e strategie pratiche. Talvolta l’atteggiamento dell’atleta è significativamente influenzato dall’atteggiamento dell’allenatore  Nel mio lavoro mi impegno continuamente nell’assicurarmi che l’allenatore sia dalla mia parte. Lavoro con molto impegno a trovare le giuste opportunità (“momenti d’insegnamento” se preferisci) per rinforzare negli allenatori l’idea che le richieste psicologiche delle situazioni prestative interagiscono con le abilità mentali.

All’AIS abbiamo condotto, con i nostri interlocutori, molte ricerche nel tentativo di sapere cosa essi pensavano della nostra efficacia, tempistica, responsabilità. Questo è stato fatto nei vari dipartimenti dell’AIS. Dai risultati è emerso una forte positività verso l’AIS e un punteggio medio di accettazione dell’80%  per la psicologia.

Un’influenza positiva della psicologia dello sport riguarda la presenza, nelle interviste rilasciate dagli atleti e dagli allenatori, di riferimenti riguardanti l’importanza degli aspetti mentali nella prestazione di alto livello. Ad esempio, il nostro migliore maratoneta chiama spesso la maratona una gara mentale. Alcuni anni fa l’Australia apprezzava la prestazione di uno dei suoi migliori tennisti durante Wimbledon. A quel tempo era riconosciuto che il programma di psicologia poteva determinare una differenza significativa. Questo giocatore possedeva un elevato livello di fitness, velocità e potenza esplosiva. Come tutti i giocatori di tennis, aveva sviluppato le sue abilità tecniche in anni di allenamenti e competizione. La chiave per sfruttare il vantaggio datogli dalla sue competenze fisiche e tecniche risiedeva nell’attenta preparazione alla gestione delle questioni psicologiche connesse a questo alto profilo prestativo.

Naturalmente dobbiamo anche riconoscere che l’allenamento psicologico può non rappresentare un fattore significativo per alcuni allenatori e atleti. La psicologia dello sport non ha una soluzione per tutto. In molti casi, comunque i fattori psicologici sono l’ultimo ostacolo da superare per raggiungere il successo.

Nideffer: Dal 1982 sei il direttore degli psicologi dello sport all’AIS, quali prove hai raccolto per affermare che i servizi che voi offrite agli atleti fanno la differenza?

Bond: Fra gli indicatori che forniscono un supporto oggettivo vi  sono, in termini generali, i risultati delle ricerche condotte dall’AIS che hanno mostrato in diverse occasioni che l’incremento delle scoperte in medicina dello sport e nelle scienze dello sport è associato a un parallelo miglioramento delle prestazioni dei nostri atleti. Inoltre, dai dati del TAIS, che abbiamo raccolto nel corso degli anni,  si rileva che noi possiamo fare la differenza in relazione alle caratteristiche attentive e interpersonali. E sono convinto che il nostro contributo sia significativo nel migliorare la gestione dello stress durante le competizioni.

Credo che gli allenatori e gli atleti siano clienti molto competenti. In tal senso l’accettazione che dimostrano verso la psicologia dello sport può considerarsi come un uleriore buon indicatore  della validità dei servizi che offriamo.  C’è un costo economico nell’inserire uno psicologo nel team e nel farlo partecipare ai tour internazionali. Inoltre se gli allenatori pensassero che lo psicologo interferisce con il programma di allenamento o che fosse inutile non ne tollererebbero la presenza.

Nideffer: Quale effetto avrà l’avanzamento della tecnologia nei prossimi cinque anni sul lavoro degli psicologi?

Bond: Devo riconoscere che sono un tradizionalista e ritengo fondamentale il rapporto faccia a faccia fra lo psicologo e l’allenatore/atleta. Credo anche che la psicologia, come pure la psicologia dello sport, sarebbe più povera se si allontanasse dal contatto personale che è parte tradizionale della nostra professione. Non vorrei che i servizi di psicologia dello sport venissero offerti per corrispondenza. Se ripenso ai 25 anni di lavoro in questo campo, credo che vedrei fortemente compromessa la validità del mio intervento se l’avessi svolto seduto dietro la mia scrivania e colloquiando per telefono o per fax. Sono consapevole che avrei perso la consapevolezza e non avrei compreso gli aspetti critici delle prestazioni se non fossi stato presente a queste situazioni.

Questo modello basato sul contatto personale e situazionale riguarda una certa percentuale della nostra professione. Riguarda ad esempio il mio modo di operare con la squadra nazionale di canottaggio. Nel periodo delle competizioni nazionali lavoro con la squadra dell’AIS e una volta che la nazionale è stata selezionata lavoro con loro. Ho un supporto organizzativo e il supporto dell’organizazione del canottaggio per stare con gli atleti e gli allenatori quando entrano nella fase finale della preparazione per le Olimpiadi. Non credo che avrei potuto lavorare così come ho fatto, se fossi stato seduto dietro la mia scrivania a Canberra. Alcuni anni fa ho lavorato con un tennista che vinse a Wimbledon. Durante la fase finale della preparazione ho vissuto insieme a lui, alla sua famiglia e all’allenatore e sono stato capace di fornirgli alcune strategie efficaci, che sono convinto che abbiano contribuito al suo successo nel torneo di tennis più importante. Non c’è modo di farlo al telefono, per fax o email.

Vi sono psicologi dello sport che non hanno un supporto organizzativo analogo o che lavorano per atleti e squadre di più sport. Per loro non è possibile viaggiare con la squadra o essere presente alle sedute di allenamento. Questi psicologi hanno dovuto affrontare il dilemma di lavorare in mancanza del faccia a faccia e del contatto situazionale. L’avvento di internet, dei video digitali e della tecnologia email permette ora di entrare in contatto indipendentemente dal luogo in cui ci si trova e potrebbe essere un modo per permettere allo psicologo di svolgere il suo lavoro consulenziale.

Inoltre molti atleti viaggiano con il loro labtop o il computer palmare e sono in contatto permanente con postazioni in altre parti del mondo.  Vi è ancora qualche difficoltà dovuta alla incompatibilità dei sistemi di telecomunicazione, ma nei prossimi cinque anni ci potranno essere in questa area dei avanzamenti significativi.

Per gli atleti in fase di sviluppo il potenziale rappresentato da internet è molto promettente per seguire programmi di preparazione psicologica. Questi atleti non sono in grado di servirsi di un proprio psicologo dello sport, ma possono avere accesso ad internet. Quindi strutturando un sito in maniera gerarchica , sarebbe possibile accedere ad un numero molto ampio di informazioni, profili psicologici e comunicare brevemente con uno psicologo dello sport.

Un’altra area di sviluppo tecnologico riguarda il biofeedback che può incrementare il nostro lavoro grazie agli sviluppi della strumentazione. Infatti questi apparecchi sono sempre affidabili e compatti e con i possibili sviluppi nella capacità di creare una realtà virtuale, potrebbero diffondersi rapidamente fra gli atleti per vedere immagini tridimensionale delle loro prestazioni. Questa tecnologia potrebbe sostituirsi agli esercizi di visualizzazione comunemente praticati da molti atleti. La nostra squadra nazionale di canottaggio ha già accesso, durante lo svolgimento dell’attività, a molte informazioni biomeccaniche. Sono capaci di modificare la loro efficienza tecnica attraverso spostamenti della posizione del corpo, semplicemente orientando in tal senso la loro attenzione, la respirazione, la tensione muscolare e il centro di gravità.

Il potenziale futuro della psicologia dello sport è molto eccitante. Dovremo diventare capaci di offrire i nostri servizi a un numero molto maggiore di atleti e allenatori presenti in località diverse.L’avvento dell’atleta mondiale è un bene e la psicologia dello sport sarà in prima linea nel seguire gli sviluppi futuri dello sport di elite e nel servirsi attivamente delle tecnologie più avanzate per superare i limiti dovuti alla non presenza fisica nello stesso luogo dello psicologo e dell’allenatore/atleta.

Come si realizza un programma di coaching per l’arbitro

Nel web mi sono imbattuto in questo mio vecchio articolo sugli arbitri tuttora attuale e di cui ripropongo una parte.

Ho lavorato con arbitri di pallavolo e di calcio ai massimi livelli per circa 15 anni, è statore me un lavoro estremamente interessante e molto ben accettato in quell’ambiente. Oggi è un’area del tutto abbandonata da queste federazioni. Ovviamente questo è ciò non è avvenuto nel mondo, soprattutto nel calcio. Siamo stati in anticipo rispetto agli altri paesi e poi andati via i dirigenti interessati (Benito Montesi nella pallavolo e Paolo Casarin nel calcio) quest’area d’intervento si chiusa a queste tematiche di sviluppo personale e professionale degli arbitri. E’ datato 1986 il libro di Psicologia degli arbitri di pallavolo. Eravamo dei marziani mentre invece pensavamo che fosse la normalità.

“Il programma si articola in quattro parti: definizione del piano di autosviluppo, attuazione del programma di azione formulato, valutazione dei risultati raggiunti e follow-up finale.

La definizione del piano di autosviluppo personale viene realizzata in due fasi. La prima comporta l’illustrazione dei risultati emersi dal Test of Attentional and Interpersonal Style e la formulazione di un Piano di Autosviluppo Personale centrato sui punti seguenti:

  • Descrizione delle principali aree di miglioramento scelte dall’arbitro
  • Descrizione di quali sono le cause che hanno determinato uno sviluppo limitato o insoddisfacente in questi ambiti
  • Descrizione di quali sono le situazioni specifiche che con più probabilità contribuiscono a mantenere queste difficoltà/limitazioni
  • Identificazione di quali sono le abilità che vuole sviluppare per superare queste difficoltà
  • Identificazione di quali sono i parametri che vuole usare per valutare il proprio miglioramento
  • Identificazione delle azioni che vuole effettuare per migliorare queste competenze
  • Identificazione di chi potrebbe fornirgli un supporto esterno di fiducia con cui confrontarsi e verificare se il suo comportamento sta cambiando

Nel successivo incontro s’identifica un obiettivo specifico di miglioramento e si formula un Piano di Azione”.