Archivio mensile per giugno, 2025

C’è poco da essere ottimisti sulla diffusione dello sport in Italia

Come si fa a essere contenti, come oggi rappresentanti dello sport italiano, che in circa 30 anni i praticanti attività fisica e sport in modo continuativo e saltuario sono aumentati del 10%?

La situazione è piuttosto la seguente:

“In ogni età e fase della vita, svolgere attività fisica con regolarità significa fare una scelta a favore della propria salute. Ma quanto viene praticato in Italia e nel resto d’Europa? Per rispondere a questa domanda la redazione di Dati alla mano, un podcast realizzato dall’Istat nell’ambito delle attività di promozione della cultura statistica, ha intervistato Laura Iannucci, ricercatrice Istat esperta della materia.

Quali sono le abitudini degli adulti nella pratica dell’attività fisica in Italia e in Europa?

I dati dell’ultima Indagine Europea sulla Salute (EHIS), riferiti al 2019, collocano l’Italia al 21° posto – su 27 paesi –  nella graduatoria delle persone che praticano attività fisica nel tempo libero: solo il 26,7% pratica attività fisica di tipo aerobico (esercizio che comporta un leggero aumento della frequenza respiratoria o cardiaca) almeno 1 volta a settimana, mentre tra la popolazione europea adulta la percentuale sale al 44,3%. I dati per l’Italia sono ancora più bassi se si guarda all’attività fisica di potenziamento muscolare (esercizio finalizzato a potenziare l’apparato muscolare): la pratica solo il 14,4% di tutta la popolazione adulta rispetto al 26,3% della popolazione adulta europea”.

Disturbi muscoloscheletrici e uso eccessivo dello smartphone: la sindrome del text neck

Piruta, J., & Kułak, W. (2025). Physiotherapy in Text Neck Syndrome: A Scoping Review of Current Evidence and Future Directions. Journal of Clinical Medicine, 14(4), 1386.

Contesto: I disturbi muscoloscheletrici associati all’uso eccessivo dello smartphone rappresentano un importante problema di salute. La sindrome del “text neck” è uno di questi disturbi, e colpisce un numero crescente di persone in tutto il mondo, appartenenti a diverse fasce d’età. Il fenomeno del “text neck” può manifestarsi in soggetti che assumono frequentemente e per lunghi periodi una postura con collo e testa flessi in avanti mentre guardano gli schermi dei dispositivi elettronici mobili. Vengono utilizzati diversi metodi terapeutici nel trattamento della sindrome del “text neck”. Tuttavia, non esiste un consenso univoco sulla riabilitazione di tale condizione, il che rappresenta una sfida per i fisioterapisti.

Obiettivo: Lo scopo di questo studio è analizzare il fenomeno del “text neck”, con particolare attenzione ai recenti studi scientifici sulla riabilitazione della sindrome. È stata condotta una scoping review per determinare i metodi di fisioterapia attualmente utilizzati nel trattamento dei soggetti affetti da “text neck”, valutarne l’impatto sulla riduzione dei sintomi e individuare le lacune e i limiti esistenti nella letteratura attuale sulla riabilitazione della sindrome.

Metodo: È stata condotta una scoping review sulla base delle banche dati elettroniche PubMed, ResearchGate, Physiotherapy Evidence Database (PEDro) e Cochrane Library. Le ricerche sono state effettuate fino al 1° dicembre 2024. I criteri di inclusione comprendevano studi che indagavano interventi fisioterapici su soggetti affetti da “text neck”, pubblicati tra il 2018 e il 2024 e redatti in lingua inglese.

Risultati: Sono stati analizzati in totale quindici articoli, focalizzati su diversi metodi utilizzati nella riabilitazione del “text neck”, tra cui esercizi di correzione posturale, esercizi di stabilizzazione, esercizi di rafforzamento e stretching, Pilates, PNF (Facilitazione Neuromuscolare Propriocettiva), kinesio taping, terapia Bowen e terapia manuale. Quasi tutti gli studi sono stati condotti su popolazioni adulte (93%), con la maggior parte realizzati in India (60%).

Conclusioni: In sintesi, tutti gli studi suggeriscono che interventi fisioterapici appropriati possono fornire benefici significativi, tra cui riduzione del dolore, correzione posturale e miglioramento dell’ampiezza di movimento della colonna cervicale. I migliori risultati sembrano essere ottenuti combinando diverse tecniche terapeutiche. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche di alta qualità per rafforzare le evidenze e fornire raccomandazioni affidabili per la pratica clinica. Inoltre, esistono poche ricerche sull’utilizzo della fisioterapia per il “text neck” nella popolazione pediatrica, il che rappresenta un potenziale ambito per futuri studi.

Pochi insegnanti e allenatori sono formati a educare al pensiero critico

Tutti parlano dell’importanza di educare al pensiero critico e alla gestione delle emozioni, ma nella pratica, pochi insegnanti o allenatori sono davvero formati, consapevoli e operativi su questi aspetti. Ecco alcune considerazioni su questo divario:

Nella scuola - Una meta-analisi del 2021 ha esaminato 43 studi (~3.000 insegnanti da pre-K a 12° grado) su programmi scolastici di Social and Emotional Learning (SEL). Obiettivo: migliorare il benessere dei docenti, ridurre lo stress, prevenire il burnout. Gli interventi SEL hanno avuto un impatto significativo su: autoregolazione emotiva e strategie di coping, riduzione dello stress professionale e miglior lavoro in classe e benessere personale e resilienza degli insegnanti.

  • Formazione insufficiente: La maggior parte dei docenti riceve una preparazione centrata sui contenuti disciplinari, non sulla crescita socio-emotiva degli studenti.
  • Tempo e programmi stretti - Con la pressione dei programmi, le prove Invalsi, le classi numerose, gli insegnanti faticano a ritagliare spazio per l’educazione emotiva.
  • Pochi strumenti concreti - Anche quelli motivati spesso non hanno risorse pratiche per integrare lo sviluppo del pensiero e delle emozioni nel quotidiano.

Nello sport - Una meta-analisi del 2018 su 22 studi (3.431 atleti competitivi) ha trovato una correlazione debole ma significativa tra intelligenza emotiva  e prestazione sportiva. Quando è invece noto che è connessa alla gestione dello stress, a un uso efficace di abilità psicologiche e a performance atletiche

  • Cultura del risultato - Troppi allenatori, anche a livello giovanile, sono ancora focalizzati sulla performance, non sullo sviluppo personale.
  • Modelli vecchi - Si tramanda un approccio autoritario, dove emozioni e riflessione vengono viste come debolezza o distrazione.
  • Eccezioni esistono - Ci sono allenatori (soprattutto nei settori giovanili più evoluti) che usano lo sport per insegnare autocontrollo, consapevolezza, cooperazione.

16° Congresso Mondiale di Psicologia dello Sport

Questo Blog Promuove

International Society of Sport Psychology 16th World Congress

From December 8 to 12, 2025, the 16th ISSP World Congress will take place,

organized by the Hong Kong Sports Institute (HKSI) and sponsored by the Shine Tak Foundation.

Theme: “60 Years of ISSP: The Global Past, Present, and Future of Science, Practice, and Performance in Sport Psychology.”

Join us for this opportunity to exchange knowledge, innovations, and experiences that will shape the future of Sport Psychology worldwide!

L’allenatore empatico

Il ruolo dell’empatia da parte dell’allenatore è centrale in una relazione efficace e costruttiva con gli atleti. Tuttavia, è importante chiarire che essere empatici non significa assecondare o compiacere, ma piuttosto comprendere profondamente il punto di vista dell’atleta, i suoi stati d’animo, le sue difficoltà, le sue motivazioni e anche le sue resistenze. L’empatia è la capacità di “mettersi nei panni dell’altro”, ma mantenendo la propria posizione di guida.

Cosa comporta l’empatia per l’allenatore:

  • Ascolto attivo: L’allenatore empatico sa ascoltare senza giudizio. Capisce perché un atleta rifiuta un esercizio o si mostra demotivato, andando oltre la semplice apparenza.
  • Riconoscere i bisogni e le emozioni: Senza cedere a lamentele o scuse, l’allenatore empatico sa riconoscere quando dietro un rifiuto c’è stanchezza mentale, mancanza di fiducia, insicurezza o paura di fallire.
  • Personalizzazione dell’insegnamento: Saper leggere l’atleta consente di adattare il modo in cui si propone un esercizio, si corregge un errore o si stimola la motivazione. L’obiettivo è far percepire all’atleta che l’allenamento, anche se difficile o sgradito, è funzionale al raggiungimento dei suoi stessi obiettivi.
  • Sostenere senza deresponsabilizzare: Un allenatore empatico non deresponsabilizza l’atleta, ma lo accompagna a capire l’utilità anche di ciò che non gli piace. L’empatia permette di creare un ponte tra la fatica presente e il risultato desiderato, facendo leva sugli obiettivi personali dell’atleta.
  • Costruzione della fiducia: Un atleta che si sente compreso è più disposto a fidarsi dell’allenatore, anche quando le richieste sono difficili. La fiducia nasce proprio da quel “ti capisco, ma so cosa ti serve”.

L’empatia nell’allenatore è una competenza relazionale chiave che permette di motivare senza manipolare, guidare senza imporre, correggere senza demoralizzare. Non si tratta di evitare i conflitti o di rendere tutto piacevole, ma di rendere significativo anche ciò che non è immediatamente gratificante, mostrando agli atleti il legame tra ciò che fanno oggi e ciò che vogliono diventare domani.

Allenare è molto di più che una serie di esercizi ben organizzati.

La cultura del lavoro dovrebbe consentire all’allenatore di andare oltre l’agire comune, non restando prigioniero di schemi mentali abitudinari che spesso conducono ad accettare in modo passivo i principi dell’allenamento e le sue applicazioni. Bisogna, invece, mettere in discussione le proprie convinzioni e avere una mente aperta alle nuove soluzioni.

Allenare non significa solo insegnare una tecnica o una tattica e da parte del calciatore non consiste solo nell’imparare, per quanto possa essere complessa e la sua esecuzione richieda un livello di maestria elevato. Allenare e allenarsi vuol dire, invece, servirsi della propria intelligenza cognitiva, emotiva e motoria per insegnare e imparare a conoscere ed eseguire ciò che deve essere fatto per raggiungere livelli di prestazione che tendono all’ottimizzazione della prestazione di gara. Per pianificare un programma di allenamento centrato sul miglioramento della prestazione sportiva è necessario che giocatore e allenatore, e la squadra nella sua globalità, condividano gli obiettivi da raggiungere con l’allenamento che s’intende attuare.

Come già spiegato, per prestazione in ambito sportivo si intende il comportamento motorio prodotto in relazione a un compito che può essere misurato, mentre per abilità ci si riferisce alla competenza necessaria per fornire una prestazione a un determinato livello. Per migliorare la prestazione è necessario che l’allenamento abbia lo scopo di sviluppare nella squadra l’idea di «muoversi pensando», che richiede di avere sempre un’idea che guida le azioni di gioco. Questo approccio può essere applicato in modo grossolano se si è principianti o in modo tecnicamente sempre più attento e mirato a mano a mano che si acquisisce maggiore esperienza.

Non c’è azione di gioco senza pensiero, per cui imparare o allenarsi significa muoversi avendo presente la rappresentazione mentale di ciò che si vuole fare.

(Fonte: Alberto Cei, Palla al centro, Bologna: Il Mulino)

Le emozioni nello sport sono dominanti

Le competizioni sportive occupano ormai quasi tutto l’anno e diventa quasi impossibile fare il punto di un anno sportivo. Fra i tanti argomenti di cui si potrebbe parlare per definire successi o insuccessi, stagioni positive o negative vi è la componente psicologica dello sport e in particolare le emozioni che suscita nei protagonisti, gli atleti e le atlete, gli allenatori (pochissime sono le allenatrici ad alto livello) e gli staff.

Se leggiamo ciò che i media ci propongono in questi giorni vediamo l’uso di parole e pensieri che trattano quasi esclusivamente di emozioni. I giocatori dell’Inter si devono ancora riprendere dalla delusione della Champions, nella Juve si respira un’aria brillante, si ammira l’autocontrollo di Sinner, nel tennis abbiamo giocatrici che retrocedono di classifica perchè non hanno più voglia di fare i sacrifici necessari, Antonio Conte ha portato il Napoli a vincere lo scudetto più per la sua leadership che per le sue idee di gioco, Sofia Goggia e Federica Brignone sono due donne che mettono il loro entusiasmo al servizio della loro carriera sportiva.

La dimensione esistenziale domina la carriera sportiva di atleti e atlete e questo testimonia della rilevanza del prendersi cura di se stessi sempre e a prescindere dai risultati, positivi o negativi che siano. Gli esempi riportati riguardano  i top performer che dovrebbero essere seguiti dai migliori professionisti e già qui scopriamo che a questa necessità di solito non viene data una riposta adeguata.

Il problema più grave, però, riguarda non tanto loro che sono nella condizione di potere scegliere i professionisti che desiderano, colpisce invece gli altri sportivi, i giovani adolescenti piuttosto che gli atleti/e degli sport che hanno difficoltà ad avere uno staff qualificato. Per questi le problematiche sono le stesse solo che se la devono cavare da soli o spesso non vivono in un ambiente sportivo sensibile a queste tematiche.

Ancora peggio diventano preda di mental coach impreparati o di chi, anche se psicologo,  non capisce il mondo dello sport e quindi fornisce risposte inadeguate.

Dieci anni di “Calcio Insieme”: principi, obiettivi e risultati dell’Accademia di Calcio Integrato

A dieci anni dall’avvio dell’Accademia di Calcio Integrato, rivolta a bambini e adolescenti con disturbo dello spettro autistico, desideriamo condividere le linee guida che hanno orientato sin dall’inizio il nostro operato e il nostro metodo.

Non solo fare del bene, ma farlo bene
Sin dall’inizio, il nostro intento come associazione sportiva non è stato unicamente quello di proporre un’attività calcistica, ma anche quello di monitorare e documentare i risultati ottenuti. Abbiamo scelto di superare l’approccio generico secondo cui lo sport, per essere benefico, debba semplicemente essere praticato. Al contrario, abbiamo voluto dimostrare in modo concreto su quali aspetti – motori, sportivi e psicosociali – si manifestano i benefici dell’attività svolta.

Una vera scuola calcio
Abbiamo deciso di rivolgerci a bambini con autismo di età compresa tra i 6 e i 12 anni, ritenendo che l’infanzia rappresenti il periodo più adeguato per l’avviamento allo sport. È in questa fase, infatti, che si consolidano schemi motori fondamentali e si iniziano a costruire le prime esperienze di socializzazione. Inoltre, l’obiettivo era anche contrastare il rischio di sedentarietà, spesso presente in questa fascia di popolazione.

Calcio come strumento di inclusione e integrazione sociale
La partecipazione regolare alle attività dell’Accademia ha offerto ai bambini coinvolti un’importante esperienza di vita di gruppo, da condividere durante l’intero anno sportivo con coetanei, allenatori e psicologi dello sport. Questa esperienza ha favorito, a vari livelli, l’apprendimento delle regole della convivenza sociale, come il saluto iniziale e finale, il rispetto reciproco, e la capacità di seguire le sessioni di allenamento sotto la guida di professionisti qualificati.

Uno staff multidisciplinare
Fin dall’inizio, abbiamo costituito un’équipe formata da professionisti dello sport con competenze eterogenee: allenatori di calcio, laureati in Scienze Motorie, psicologi dello sport, con il supporto operativo in campo di una logopedista e di un medico. Tutti i membri dello staff hanno preso parte a un percorso formativo specificamente progettato da noi, della durata di 32 ore.

Tutti possono imparare
Attraverso la diagnosi clinica, il dialogo con le famiglie e l’osservazione diretta sul campo, abbiamo identificato il livello di funzionamento di ciascun bambino. In questo modo, abbiamo potuto fornire un insegnamento realmente individualizzato, stabilendo chi necessitasse di un supporto uno a uno e chi fosse pronto per partecipare a piccoli gruppi composti da tre bambini e un allenatore.

Integrazione con bambini a sviluppo tipico
Sin dal primo anno, abbiamo promosso sessioni di allenamento congiunte con i bambini della scuola calcio dell’AS Roma. A partire dal secondo anno, abbiamo inoltre organizzato incontri in campo con i compagni di classe degli allievi, rafforzando così ulteriormente le dinamiche di integrazione e confronto.

Promuovere il senso di appartenenza tra famiglie e giovani
Uno degli obiettivi fondamentali del progetto è stato quello di creare un forte senso di appartenenza, non solo tra i bambini, ma anche tra le famiglie e lo staff. In questi dieci anni siamo riusciti a costruire una vera e propria community, coesa e partecipativa, che rappresenta oggi uno dei pilastri del successo del progetto Calcio Insieme.

 

Il valore di intensità e continuità nel tennis

 

Nel tennis, intensità e continuità sono due qualità fondamentali per affrontare una partita con efficacia, e sono strettamente legate all’atteggiamento mentale del giocatore, soprattutto nei giovani in fase di crescita tecnica e caratteriale.

Questo concetto di intensità e continuità non vale solo per i giocatori professionisti, ma è altrettanto valido e importante  per i giovani di 14 anni che giocano da diversi anni e partecipano regolarmente ai tornei.

1. Stessi principi, livelli diversi

I professionisti hanno allenato per anni la loro capacità di restare intensi e continui, ma i meccanismi alla base sono gli stessi anche per chi sta ancora crescendo. Un ragazzo o una ragazza di 14 anni che gioca tornei ha già una base tecnica solida e conosce il ritmo della competizione. A questo punto, l’atteggiamento mentale fa la differenza, proprio come a livello più alto.

2. Allenarsi al giusto approccio fin da giovani

Se un giovane atleta impara a:

  • entrare in campo con intensità,
  • gestire le difficoltà senza arrendersi,
  • evitare i cali di concentrazione,

sta già sviluppando le qualità che lo aiuteranno in ogni fase della carriera sportiva. In sostanza, imparare a giocare servendosi dei propri pensieri non è un aspetto da rimandare all’età adulta: si costruisce ora, in ogni allenamento e in ogni torneo.

3. I tornei giovanili sono un banco di prova reale

Nei tornei giovanili, le partite sono spesso altalenanti: un set si può vincere 6-1 e perdere il successivo 1-6. Questo accade perché i giovani stanno ancora imparando a gestire le emozioni e mantenere la concentrazione. Chi inizia a capire quanto conti l’intensità mentale e la continuità del gioco acquisisce un vantaggio reale.

4. Responsabilità personale e crescita

A 14 anni, un tennista ha già vissuto abbastanza partite da sapere che non basta “giocare bene” per vincere: serve essere presenti, lottare, credere nel proprio gioco, anche nei momenti difficili. Questo significa prendere responsabilità del proprio atteggiamento, e usare ogni partita come un’occasione per crescere, non solo come un risultato da ottenere.

In conclusione, le qualità di intensità e continuità valgono per tutti: dai professionisti ai giovani che competono nei tornei. Chi inizia a coltivarle seriamente già a 14 anni si prepara non solo a diventare un giocatore più forte, ma anche a gestire meglio la pressione, i momenti difficili e il percorso sportivo nel lungo periodo.

 

 

Il calcio italiano alla ricerca di un capro espiatorio

In questi giorni di caos per la nazionale italiana di calcio i principali commentatori hanno imputato la sconfitta con la Norvegia, nella partita di qualificazione per i prossimi mondiali, allo scarso livello tecnico dei calciatori mentre lo stesso ct Luciano Spalletti si è detto dispiaciuto per non essere riuscito a fare al meglio il suo lavoro.

Non voglio mettere in discussione queste spiegazioni e tantomeno quelle che incolpano la FIGC e il suo presidente.

Quello che invece mi piacerebbe sapere riguarda cosa è stato fatto prima per costruire una squadra unita e consapevole delle difficoltà e dei compiti che l’aspettava.

Sappiamo o almeno dovremmo sapere tutti che se una squadra non ha grandi individualità e un gioco ben rodato non deve certo arrendersi ma predisporsi alla lotta in ogni centimetro del campo e giocatori pronti a intervenire quando un compagno si sta per trovare in difficoltà. In sostanza, a prescindere da tutto, mai mollare di un metro. Essere tenaci, cioè continuare a fare quello che si è fatto anche dopo che lo si è fatto.

Con questo premesse mi chiedo come sono passati i giorni pregara, come sono stati affrontati questi temi in allenamento e nelle riunioni tecniche o invece, come spesso ho visto accadere, si è parlato solo di questioni tecnico-tattiche avulse dal fattore umano. E’ troppo semplice affermare che i giocatori a disposizione erano scarsi, serve a qualcosa?

E’ facile dire che non mostrato l’orgoglio di vestire la maglia azzurra ma come dovrebbero averlo sviluppato calciatori che non giocano nelle squadre italiane perchè a loro è preferito uno straniero qualsiasi, calciatori che sono mentalmente cresciuti sotto un procuratore che pensa solo a fare lievitare i compensi. Certo che tutti dovrebbero avere sviluppato il senso di appartenenza, che tra l’altro è uno dei bisogni fondamentali di noi esseri umani, ma chi glielo avrebbe dovuto insegnare?

Purtroppo questi temi non interessano, quindi, continuino pure a trovare di volta in volta un capro espiatorio diverso.