Rafa Nadal: non chiamiamolo leggenda

Ieri, al Roland Garros, è stato celebrato Rafa Nadal per le sue 14 vittorie in 20 anni in questo torneo. È stato un percorso impensabile, tanto meno programmabile. A riconoscergli questa impresa sono accorsi 14.000 spettatori, insieme agli altri tre giocatori che hanno dominato con lui il tennis negli ultimi 25 anni: Roger Federer, Novak Djokovic e Andy Murray. Nadal, come loro, è stato un vincitore seriale: ha conquistato 22 Slam e ha vinto il 96% delle partite giocate al Roland Garros.

Una serie incredibile di successi, probabilmente irripetibile nei numeri, come lo sono anche quelli degli altri tre componenti di questo gruppo soprannominato “I Favolosi 4”. Ma non chiamiamoli leggende dello sport. Un tempo con questo termine si indicavano i santi, la cui vita veniva narrata e arricchita dalla fantasia popolare. Oggi, non abbiamo bisogno di abbellire con la nostra immaginazione da tifosi la storia di successo di Nadal e dei suoi avversari. Devono rimanere, agli occhi di tutti, atleti che hanno realizzato qualcosa che nessun altro era riuscito a fare.

Se vogliamo che i giovani tennisti li considerino un punto di riferimento da cui imparare, dobbiamo seguirne le imprese per comprendere davvero come si diventa vincitori seriali.

Molti giovani talenti nello sport si perdono per strada anche perché vivono in modo fideistico i successi dei campioni che ammirano. Non comprendono cosa ci sia alla base delle vittorie e vedono solo che, nei momenti difficili, mantengono l’autocontrollo e riescono a uscirne. Raramente si chiedono come abbiano imparato ad affrontare quelle situazioni, perché la loro convinzione li porta a pensare che riescano a risolvere i problemi meglio degli altri semplicemente perché sono campioni. È lo stesso atteggiamento che si ha nei confronti della vita dei santi: la si arricchisce con interpretazioni personali prive di qualsiasi legame con la realtà.

Per questo, non chiamiamoli leggende: questa lettura non aiuta a capire le ragioni profonde dei loro successi ricorrenti.

Chi preferisce pensare che Nadal sia una leggenda non potrà mai fare proprio un concetto fondamentale insegnatogli da Toni Nadal, zio e allenatore: da giovane, Rafa aveva compreso e accettato pienamente l’importanza dell’impegno quotidiano, senza eccezioni, durante tutti gli anni di allenamento.
Si presentava sempre in campo con l’atteggiamento giusto, senza lasciarsi andare allo sconforto o a gesti di frustrazione come rompere una racchetta, pronto a lavorare più del previsto, senza mai lamentarsi, colpendo ogni volta la palla con la massima determinazione.
Ma, più di ogni altra cosa, aveva accettato con maturità che, anche rispettando tutto questo con costanza, il successo non sarebbe stato garantito.

Non perdiamo mai di vista il lato umano e personale dei campioni più vincenti della storia dello sport, altrimenti sprecheremo l’occasione di imparare davvero da loro.

0 Risposte a “Rafa Nadal: non chiamiamolo leggenda”


  • Nessun commento

Contribuisci con la tua opinione