Archivio mensile per aprile, 2025

Obiettivi dello psicologo nel tennis

Sintesi, non completa, di cosa dovrebbe saper fare uno psicologo che lavora nel tennis: comprendere gli stati d’animo del tennista in partita e origine degli errori; lavorare per ristabilire alcune funzioni mentali essenziali.

Colmare il gap mentale tra allenamento e competizione

Nel contesto dell’atletica leggera, la tenacia e la resilienza degli atleti vengono messe frequentemente alla prova durante gli allenamenti. Gli esercizi basati su tempi prestabiliti, ripetute estenuanti e ritmi di gara simulati rappresentano sfide quotidiane che costringono gli atleti ad attingere profondamente alle loro risorse mentali per mantenere la prestazione richiesta. In questo modo, qualità psicologiche fondamentali come la gestione della fatica, la capacità di sopportare lo stress e la determinazione a non cedere diventano parte integrante del processo di allenamento, venendo sollecitate e sviluppate in modo sistematico e diretto.

Al contrario, negli sport individuali a componente tattica più marcata (come il tennis, il judo, la scherma, ecc.), allenare tenacia e resilienza fuori dal contesto competitivo si rivela molto più complesso. In allenamento, infatti, le situazioni di stress emotivo, incertezza o pressione decisionale sono spesso simulate solo in parte e non sempre riescono a riprodurre la tensione reale della gara. Di conseguenza, gli atleti possono arrivare alla competizione senza essere completamente preparati ad affrontare momenti critici come un calo di rendimento, un errore decisivo o la pressione dell’avversario. Questo “gap” tra l’allenamento e la gara espone l’atleta al rischio di cedimenti mentali nei momenti più delicati.

Per colmare questa distanza, è fondamentale integrare nell’allenamento situazioni che stimolino le componenti emotive e psicologiche della prestazione, creando contesti artificialmente stressanti o inserendo variabili impreviste che obblighino l’atleta a reagire, adattarsi e mantenere lucidità tattica sotto pressione.

1. Simulare pressione e incertezza

Gli allenamenti devono includere esercizi in cui l’atleta si trovi a gestire:

  • Punteggi sfavorevoli simulati (es. partire sotto di un set o con punti di svantaggio).
  • Obiettivi a tempo o a vincolo (es. “devi vincere 3 scambi consecutivi in 2 minuti” o “risolvere un’azione entro pochi secondi”).
  • Decisioni rapide con opzioni variabili, proprio come in gara.

2. Inserire imprevisti e variabilità
Non sempre l’allenamento deve essere prevedibile:

  • Cambiare le condizioni improvvisamente (es. campo più stretto, avversario diverso, modifiche delle regole).
  • Introduzione di “disturbi” controllati (rumori, interruzioni, piccoli errori da gestire).

3. Allenare la fatica mentale oltre che fisica
In gara, lo stress mentale pesa quanto quello fisico:

  • Prevedere esercitazioni in condizioni di stanchezza (ad esempio, lavorare sulla tattica o sulla tecnica subito dopo sforzi intensi).
  • Far prendere decisioni sotto affaticamento cognitivo, non solo fisico.

4. Lavorare sull’autoefficacia e sulle strategie di coping
Integrare sedute specifiche, anche brevi, in cui:

  • Si insegnano tecniche di gestione dello stress (respirazione, self-talk positivo, routine di reset mentale).
  • Si costruisce fiducia attraverso il “problem solving” in allenamento (“Cosa fai se perdi fiducia? Come reagisci se sei sotto pressione?”).

5. Misurare anche gli aspetti mentali
Non valutare solo il risultato tecnico o fisico, ma anche:

  • La capacità di reagire agli errori.
  • La prontezza nel cambiare strategia.
  • La qualità delle scelte sotto pressione.

Dybala, Calcio Insieme e Laureus

L’attaccante della Roma e campione del mondo con l’Argentina, Paulo Dybala, è stato nominato oggi Ambasciatore Laureus. Il trentunenne calciatore argentino ha dato il via al suo nuovo incarico con una visita al programma Laureus Sport for Good a Roma e lunedì ha partecipato alla 25esima edizione dei Laureus Sport World a Madrid.

Dybala ha vinto cinque titoli di Serie A con la Juventus e il Mondiale con l’Argentina nel 2022. La stella argentina, che ora gioca per la Roma, ha visitato il nostro progetto  ’Calcio Insieme’,  sostenuto da As Roma che usa il calcio per aiutare i bambini con disabilità intellettive. Oltre 30 bambini e ragazzi hanno incontrato il nuovo Laureus Ambassador.

Dybala nuovo ambasciatore Laureus: "E' un grande onore"

Le parole profonde di Sara Curtis

Le parole di Sara Curtis, 18 anni prima nuotatrice mulatta che ha stabilito i primati nazionali 50 e 100 stile libero, sono profondamente ispirate e rivelano una maturità straordinaria per una ragazza di soli 18 anni. Ecco alcuni spunti di riflessione sulle sue frasi:

  1. “Nello sport se ti nutri di parole belle e sagge, il tuo corpo va verso una direzione positiva…”
    Questa osservazione mostra quanto sia forte il legame tra mente e corpo. Sara sottolinea l’importanza del linguaggio e delle emozioni positive nella performance sportiva. È una visione olistica: l’atleta non è solo fisico, ma anche emozione, pensiero, spirito.
  2. “Il nuotatore, poi, deve resistere alla solitudine della piscina.”
    Questa frase racconta una verità spesso taciuta: il nuoto, come pochi altri sport, è profondamente solitario. Richiede introspezione e capacità di convivere con sé stessi, nel silenzio dell’acqua e nella ripetitività dell’allenamento.
  3. “E avere una vita tra virgolette normale: passioni, uscite, studio.”
    Sara dimostra di aver compreso l’importanza dell’equilibrio. Anche chi insegue l’eccellenza nello sport ha bisogno di stimoli esterni, di affetti, di una quotidianità che lo completi come persona.
  4. “Ascolto il podcast di Zazzeri e Restivo su doppia carriera…”
    Questo dettaglio mostra quanto Sara sia consapevole e curiosa. Il fatto che tragga ispirazione da colleghi più grandi e cerchi modelli da seguire dimostra umiltà e intelligenza.
  5. “Il nuoto è molto mentale… può diventare deleterio e alienante.”
    Qui emerge il lato oscuro dello sport: la pressione, la concentrazione esasperata, il rischio dell’isolamento. Sara non ha paura di affrontare queste tematiche e di dire che, se non bilanciato, anche lo sport può diventare una prigione.
  6. “Io sono fortunata: ho una famiglia che mi offre una doppia visione sulle cose.”
    La gratitudine verso la famiglia è toccante. Indica che il suo equilibrio viene anche da un contesto affettivo solido, che le permette di guardare lo sport con lucidità e non solo con ansia da prestazione.

In sintesi, Sara Curtis non è solo una promessa del nuoto italiano, ma anche una giovane donna con una visione limpida, consapevole e ricca di umanità. Le sue parole sono una lezione per molti, dentro e fuori dall’acqua.

La ludopatia fra i calciatori professionisti: un fenomeno globale in crescita

La ludopatia tra i calciatori professionisti è un fenomeno preoccupante e in crescita, non limitato all’Italia ma diffuso a livello globale. La combinazione di fattori come l’accesso facilitato alle scommesse online, la pressione delle prestazioni e la cultura dello spogliatoio rende i calciatori particolarmente vulnerabili.​

Un problema globale

Studi europei indicano che i calciatori professionisti hanno una probabilità quattro volte maggiore di sviluppare una dipendenza da gioco rispetto alla popolazione generale. In particolare, il 57% degli atleti professionisti europei ha dichiarato di aver scommesso almeno una volta, con un tasso di gioco problematico dell’8,2%.

In Svezia, una ricerca ha rilevato che il 6% degli atleti d’élite presenta comportamenti di gioco problematici, con tassi più elevati tra gli uomini e coloro che hanno iniziato a scommettere in giovane età.​

Negli Stati Uniti, il 33% degli atleti universitari soddisfa i criteri che individuano la dipendenza da gioco, evidenziando la diffusione del problema anche tra i giovani.

Le conseguenze

La dipendenza da gioco può portare a gravi conseguenze personali e professionali. Alcuni calciatori hanno riferito che le perdite finanziarie influenzano negativamente le loro prestazioni in campo, causando ansia e distrazioni durante le partite Inoltre, la dipendenza può esporre i giocatori a sfruttamento da parte di individui senza scrupoli, che li coinvolgono in scommesse illegali o manipolazioni di partite

Cosa possono fare le istituzioni

Per affrontare efficacemente questo problema, è necessario un impegno congiunto da parte delle istituzioni calcistiche:

  • Federazioni: implementare programmi di educazione e prevenzione, vietare le sponsorizzazioni da parte di aziende di scommesse e monitorare attivamente le attività di gioco dei calciatori.​
  • Club: offrire supporto psicologico, creare un ambiente che scoraggi le scommesse tra i giocatori e promuovere una cultura di responsabilità.​
  • Associazioni dei calciatori: fornire risorse per la prevenzione e il trattamento della dipendenza, garantire la riservatezza per chi cerca aiuto e collaborare con le autorità per identificare e affrontare i casi problematici.​

Conclusione

La ludopatia nel calcio è un problema serio e diffuso che richiede interventi mirati e coordinati a livello globale. Solo attraverso l’educazione, la prevenzione e il supporto adeguato si potrà proteggere la salute mentale e la carriera dei calciatori, preservando l’integrità del gioco.​

Allenamento mentale: attenzione a questi due errori comuni

Nel mondo dello sport, molti atleti (e non solo) cadono in tre trappole mentali quando si parla di mental training:

1. “Capire” non significa “saper fare”
Molti pensano che basti sapere quanto è importante la mente per essere già capaci di usarla.
Ma capire che la concentrazione è fondamentale non vuol dire saperla mantenere in campo, nei momenti che contano.
Le abilità mentali si allenano. Come la tecnica. Come il fisico. Come tutto il resto.

2. “Saper fare in allenamento” non significa “saper fare in gara”
Anche chi ha acquisito una strategia mentale spesso si illude che funzionerà automaticamente anche sotto pressione.
Ma in gara le emozioni sono diverse. Lo stress è diverso. La posta in gioco è diversa.
Se non hai allenato quella strategia anche in situazioni simili alla gara, rischia di sparire proprio quando serve di più.

3. “Saper fare in gara” non equivale a “saper fare nei momenti ad alta pressione”

Molti atleti hanno sviluppato la capacità di concentrarsi e regolare le proprie emozioni in condizioni competitive standard.
Ma solo una parte di essi riesce ad applicare queste abilità in modo efficace durante i momenti di massima intensità emotiva e pressione agonistica.

In queste fasi critiche, il carico emotivo può superare la soglia di regolazione dell’atleta, portando a risposte disfunzionali come impulsività, esitazione o comportamenti eccessivamente cauti.
Sono momenti in cui il controllo cognitivo viene messo seriamente alla prova, e dove l’automatismo e la solidità delle abilità mentali diventano determinanti.

La capacità di mantenere l’efficacia mentale sotto stress massimo non è scontata: è il risultato di un allenamento specifico, ripetuto e progressivo in scenari ad alta pressione.
È proprio in queste situazioni che si manifesta la differenza tra un buon atleta e un performer d’élite.

La verità?
Le abilità mentali si costruiscono nel tempo, con costanza, con metodo.
Proprio come ogni altra parte della performance.

Non basta sapere. Serve allenare. Serve integrare. Serve ripetere.

Palla al centro – Il nuovo libro di Alberto Cei

Nel calcio, cosa rende un campione, un grande campione? E un allenatore, un grande allenatore?⁠
Gran parte di ciò che rende tale un genio del calcio, è rintracciabile nella sua psicologia, nel modo in cui si approccia al campo, dall’allenamento alle partite più importanti.⁠

Caratteristiche atleti di élite

Non è semplice capire le ragioni per cui  atleti di livello internazionale non raggiungono prestazioni di livello assoluto, proviamo a individuare quali sono i limiti che glielo impediscono

1. Limiti genetici individuali

Ogni atleta ha un potenziale genetico, che determina caratteristiche come:

  • composizione muscolare (più fibre veloci o lente)
  • capacità cardiovascolare (VO₂ max),
  • risposta all’allenamento,
  • recupero e resistenza agli infortuni.

Non tutti, pur allenandosi al massimo, hanno il DNA per diventare Bolt o Phelps.

2. Qualità dell’allenamento

Anche a livello internazionale, ci sono differenze in:

  • metodologie di allenamento,
  • qualità dell staff tecnico,
  • infrastrutture (attrezzature, piste, palestre),
  • accesso a tecnologie di analisi (GPS, biomeccanica).

Un piccolo errore in programmazione può fare la differenza tra “ottimo” e “leggendario”.

3. Recupero e infortuni

Gli infortuni sono tra i principali ostacoli:

  • un infortunio cronico o ricorrente può limitare l’allenamento,
  • anche la paura dell’infortunio può influenzare la prestazione.
  • il recupero non è sempre ottimale, specie se si gareggia molto.

4. Aspetti psicologici

La mentalità d’élite non è scontata:

  • gestione dello stress,
  • resilienza,
  • motivazione costante,
  • capacità di esprimersi nei momenti chiave.

La mente può fare la differenza tra un finalista mondiale e un campione olimpico.

5. Strategie e gestione della carriera

Scelte tattiche e strategiche sbagliate (cambi di allenatore, federazione) possono influenzare l’intera carriera. Anche il calendario gare e i picchi di forma vanno pianificati al millimetro.

 

 

Congresso Mondiale di Psicologia dello Sport

This Blog supports

International Society of Sport Psychology 16th World Congress

NEW IMPORTANT DATES

31 May 2025 - Early bird registration closing

30 Jun 2025  – Abstract submission closing

31 Jul 2025  – Notification of acceptance

15 Aug 2025  – Abstract re-upload (if required)

30 Sep 2025  – Standard registration closing

Non sappiano insegnare la resilienza ai giovani

Come è possibile che sapendo dalla ricerca come si diventa 

una persona resiliente gli adulti di oggi non sappiano insegnarlo 

ai propri figli e allievi a scuola e nello sport?

Conoscere non è saper fare

Sapere in teoria come si diventa resilienti (es. affrontare le difficoltà, imparare dagli errori, sviluppare un mindset di crescita…) non significa saperlo mettere in pratica. La resilienza si costruisce nel quotidiano, con coerenza e pazienza. E questo è molto più difficile che capirlo da un libro.

Bagaglio emotivo degli adulti

Molti adulti non hanno mai ricevuto un’educazione emotiva o resiliente quando erano bambini. Se non hai fatto pace con le tue fragilità, con le tue cadute, con i tuoi fallimenti, sarà difficile insegnare a un giovane che sbagliare va bene e che le difficoltà si possono affrontare.

Cultura della performance

Viviamo in una società che premia il risultato, la prestazione, l’efficienza. Questo crea un contesto dove l’errore è visto come una debolezza e non come un’opportunità. Genitori, insegnanti e allenatori rischiano di trasmettere inconsapevolmente ansia da prestazione più che resilienza.Comunicazione incoerente

A volte si dicono le cose giuste, ma si fanno quelle sbagliate: un genitore può dire “l’importante è partecipare” ma poi arrabbiarsi se il figlio perde una gara. Oppure un insegnante può dire “l’errore è parte del processo” ma punire severamente un errore nel compito. I bambini imparano più da ciò che vedono fare che da ciò che sentono dire.

Mancanza di tempo e ascolto

Educare alla resilienza richiede ascolto, pazienza, tempo. In una società frenetica e stressata, molti adulti faticano a trovare quello spazio mentale e relazionale per costruire una relazione educativa profonda.

Mancanza di formazione pratica

Anche quando c’è la volontà, manca spesso una formazione pratica per insegnare la resilienza: non basta dire “devi essere forte”. Servono strumenti, giochi, dialoghi, esempi, esperienze. Non tutti gli educatori e allenatori li hanno a disposizione o sanno usarli.