Archivio mensile per gennaio, 2025

Sport e salute mentale

Henriksen, K., Huang, Z., Bartley, J., Kenttä, G., Purcell, R., Wagstaff, C. R. D., … Schinke, R. (2024). The role of high-performance sport environments in mental health: an international society of sport psychology consensus statement. International Journal of Sport and Exercise Psychology, 1–23.

Questa dichiarazione di consenso è il risultato del Terzo Think Tank Internazionale della Società di Psicologia dello Sport sulla Salute Mentale. Gli obiettivi del Think Tank erano: (1) coinvolgere ricercatori e professionisti di fama internazionale in una discussione sul ruolo degli ambienti sportivi ad alte prestazioni nel nutrire o compromettere la salute mentale di atleti, allenatori e staff; e (2) sviluppare raccomandazioni per le organizzazioni sportive, i ricercatori sulla salute mentale e i professionisti, affinché riconoscano più pienamente il ruolo dell’ambiente sportivo nel loro lavoro.

Sebbene la maggior parte della ricerca sulla salute mentale nello sport si sia concentrata sull’individuo, la salute mentale è il risultato di relazioni intricate e dinamiche tra le persone e i loro ambienti, e una serie di stakeholder, sia individuali che organizzativi, svolgono un ruolo chiave nel sostenere il benessere negli sport ad alte prestazioni.

Concettualmente, dividiamo l’ambiente in tre livelli (la squadra sportiva, l’organizzazione sportiva e il sistema sportivo) e due dimensioni (l’ambiente sociale e quello fisico). Basandoci sulla descrizione di questi ambienti, concludiamo fornendo raccomandazioni che aiuteranno squadre, organizzazioni e sistemi sportivi a creare ambienti sportivi ad alte prestazioni che promuovano il benessere mentale e servizi efficaci per la salute mentale, aiutando al contempo i ricercatori ad ampliare il loro focus dall’atleta o allenatore individuale all’ambiente sportivo nel suo complesso.

I campioni del mondo dell’allenamento

Ci sono atleti che in allenamento sembrano campioni del mondo: eseguono ogni gesto con precisione perfetta, battono record personali, e dominano ogni esercizio come se fosse naturale. Sono quelli che fanno spalancare gli occhi agli allenatori, che ispirano i compagni e fanno sognare trionfi. Ma poi arriva la gara, il momento clou, e qualcosa cambia.

In gara, la stessa fluidità che mostrano in allenamento sembra sparire. Magari si bloccano, o le loro prestazioni risultano semplicemente inferiori alle aspettative. La differenza è palpabile, quasi inspiegabile.

Spesso, il loro problema non è una questione fisica: sono ben allenati, tecnicamente impeccabili. È nella mente che si gioca la partita. La pressione, l’ansia da prestazione o il timore di non essere all’altezza si insinuano nei loro pensieri, rallentandoli, rendendoli insicuri. L’ambiente della gara, con il pubblico, i giudizi e l’aspettativa di risultato, diventa un labirinto emotivo da cui non riescono a uscire.

Altre volte, si tratta di un eccesso di perfezionismo: sono così concentrati sull’idea di fare tutto alla perfezione che finiscono per sabotarsi da soli. Quella naturalezza che emerge durante l’allenamento si trasforma in rigidità quando pensano troppo al risultato.

Eppure, è proprio da questi atleti che nasce il fascino dello sport. Sono una testimonianza vivente del fatto che la prestazione non è solo una questione di muscoli o abilità tecniche, ma un equilibrio complesso tra mente, corpo ed emozioni. Sono persone da ammirare, non per quello che raggiungono in gara, ma per la loro determinazione, per la ricerca continua di come superare quell’ostacolo invisibile che li separa dal loro massimo potenziale.

In fondo, ogni grande atleta ha attraversato almeno una volta una fase del genere. Magari non si parla sempre di vittorie, ma della strada per imparare a stare bene con sé stessi, anche sotto le luci della ribalta.

La vecchiaia è un’età sperimentale