Il tabù verso la psicologia esiste ancora nel calcio

A proposito della crisi del loro migliore giocatore, l’allenatore della squadra ha dichiarato che “stiamo lavorando insieme al calciatore e allo staff psicologico della squadra per risolvere il problema al più presto possibile e vederlo giocare in campo finalmente come lui sa fare”.

Credo non sentiremo mai dire affermazioni di questo genere nel calcio. Questo perchè il vero tabù che resiste in relazione alla valutazione degli aspetti psicologici di ogni giocatore consiste nel considerarli secondo una logica positivo/negativo. O le cose vanno bene oppure ci sono problemi. La stessa parola “problema” associata a un’altra “psicologico” ricorda immediatamente qualcosa che deve essere nascosto, una colpa di cui vergognarsi e che allora pubblicamente si deve chiamare in altro modo per non stigmatizzare il giovane come uno che ha un “problema psicologico”.

Per questo allora i “problemi” mostrati sul campo da Vlahovic, Leao, Donnarumma e tanti altri che non sono citati dai media in quanto non sono famosi vengono spiegati in termini di problemi di gioco, di voglia di strafare,  di problemi legati al contratto, di difficoltà a recuperare dopo un infortunio o di trovare di nuovo il ritmo partita. Ciò che non viene detto è che queste situazioni appena elencate sono il modo in cui il calciatore mostra i suoi attuali limiti psicologici. Se si sostituisce la parola “problema” con “limite attuale” diventa più evidente che parlare di limiti psicologici è analogo al parlare di limiti fisici o tecnico-tattici e che attraverso l’allenamento sarà possibile ridurre questi limiti.

Quindi, riportando la questione a difficoltà tipiche di chi fa un lavoro, quello del calciatore, in cui si dovrebbe sempre essere pronti, sapendo ovviamente che non è possibile, diventa più facile accettare che i limiti psicologici dimostrati in determinati momenti della stagione sportiva sono parte della vita di un calciatore, non vanno perciò nascosti, sono come una contrattura muscolare o un passaggio sbagliato. Quando si manifestano il club deve essere attrezzato come per ogni altra evenienza a trattare il giocatore, tramite gli esperti in psicologia dello sport, allo scopo di ridurre o eliminare questa difficoltà.

Invece, siamo ancora fermi a pensare che il supporto dei compagni e dei tifosi e le chiacchierate con l’allenatore siano sufficienti. Certamente sono importanti ma nessuno penserebbe di risolvere un infortunio con una pacca sulla spalla.

 

0 Risposte a “Il tabù verso la psicologia esiste ancora nel calcio”


  • Nessun commento

Contribuisci con la tua opinione