Pelé e l’origine del numero 10

10 è il numero di chi distribuisce il gioco e di chi fa correre la palla sul campo. 10 è il numero che nel 1958 per estrazione di numeri ricevette Pelé per giocare e vincere a 17 anni  il suo primo mondiale di calcio. E’ anche il numero di Maradona, incredibile campione, che segnò anche con la mano di Dio. Valentino Mazzola era il 10 del Grande Torino e Mazzola era il soprannome di José Altafini a inizio carriera. 10 è stato Gianni Rivera, primo italiano a vincere il pallone d’oro, di cui ne ha vinti invece 6 Leo Messi anche lui vestendo lo stesso numero. La Juventus ha avuto molti numero 10, campioni assoluti come Omar Sivori Michel Platini, Roberto Baggio, Zinedine Zidane, Alessandro Del Piero e Andrea Pirlo. Le qualità del 10 sono quelle di chi illumina e guida la squadra, il 10 è audace quanto perentorio nelle sue azioni e mostra la caratteristiche che Gianni Brera ha descritto con maestria parlando di uno di loro e cioè di Giuseppe Meazza (vincitore del Campionato del Mondo di calcio con la nazionale italiana nel 1934 e 1938):

Grandi giocatori esistevano già al mondo, magari più tosti e continui di lui, però non pareva a noi che si potesse andar oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario”.[1]

Il 10 porta su se stesso, più degli altri, la responsabilità della squadra, ne rappresenta l’anima, lo spirito. Quando il 10 si isola la squadra ne risente in modo drammatico, e perde colui che tutti ritengono sia in grado di risolvere la partita o un momento di difficoltà con una sua invenzione che sia  un tiro, una punizione,  un passaggio smarcante per l’attaccante o un dribbling. Il 10 non rincorre avversari e sa che è “meglio far correre la palla, lei non suda” (Roberto Baggio), per lui “il calcio è musica, danza  e armonia e non c’è niente di più allegro che la sfera che rimbalza” (Pelé). E poi, i 10 si riconoscono, rispettandosi come i membri di un club riservato a pochi e sanno quanto sia indispensabile la loro presenza per il calcio, come dice Francesco Totti di Diego Armando Maradona:

“E’ il calcio, è il pallone, come se ci fosse la sua faccia su quella sfera che gira. Quello che ha fatto lui con la palla non l’ha fatto mai nessuno e non lo farà mai nessuno. Ha fatto cose straordinarie, tutto quello che c’era da fare l’ha fatto. L’ho conosciuto e mi emoziona vedere la foto di noi due abbracciati”.

 


[1] Gianni Brera, Peppin Meazza era il fòlber. Giornale Nuovo, 24 agosto 1979.

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