Il compito principale dell’allenatore

Spesso mi chiedo perché continuare a parlare di sport e di prestazioni sportive quando viviamo un periodo in cui domina l’incertezza. Inoltre, lo stesso sport e il calcio non sono immuni da problemi gravi in cui sono coinvolti gli atleti e le loro organizzazioni, dal doping alle partite truccate, dai falsi in bilancio alle truffe connesse all’acquisizione delle manifestazioni sportive di importanza mondiale. Se ci fermiamo solo a questi aspetti della nostra società non dovremmo ovviamente occuparci di sport, ma probabilmente non dovremmo più occuparci di nulla se pensassimo che “tutti sono dei ladri”.

Poi ci sono i giovani con le loro aspettative e motivazioni di riuscire a realizzare i propri sogni, ed è proprio questo che mi spinge a parlare di sport. Non possiamo lasciarli soli nel cercare la loro strada, non possiamo di certo lasciarli preda dei tanti che li vogliono consigliare solo per soddisfare il loro narcisismo. Dobbiamo invece trasmettergli:

  • la consapevolezza nelle proprie qualità e nella necessità del miglioramento continuativo
  • la capacità di accettare gli errori e le sconfitte, vivendoli come le uniche esperienze che permettono di migliorare
  • il piacere d’impegnarsi per raggiungere i loro sogni
  • la convinzione che il potere dell’atleta si esercita al 100×100 nel fornire le migliori prestazioni di cui si è capaci e non nel vincere
  • la convinzione che le esperienze emotive provate in allenamento e in gara sono un modo per imparare a gestire se stessi nei momenti di maggiore intensità e stress della loro vita
  • la capacità di gioire e di essere orgogliosi di se stessi
  • la capacità di rispettare gli avversari  e i giudici di gara
  • la capacità di accettare le difficoltà come una parte essenziale e presente in ogni prestazione anche quando si è veramente ben preparati a gareggiare

Per queste ragioni, insegnare ai giovani che vogliono diventare bravi in quello che fanno è un’esperienza molto impegnativa e diversa dal lavorare insieme ad atleti adulti o che già hanno raggiunto visibilità a livello internazionale. Sono giovani adolescenti, ragazzi e ragazze, che s’impegnano per scoprire se hanno le qualità per emergere nello sport e per tramutare la loro passione in una carriera sportiva di alto livello.

Negli sport individuali, per alto livello dobbiamo intendere un atleta capace di gareggiare in modo competitivo a livello internazionale. Negli sport di squadra, ci si riferisce al giocare almeno a livello dei due campionati nazionali di massimo livello (dove lo spazio per giocare è troppo spesso occupato da giocatori stranieri).

Sappiamo che una volta stabiliti, questi obiettivi a lungo termine, vanno comunque messi da parte perché ci si deve concentrare su quanto serve fare per migliorare e perseguire quotidianamente questo obiettivo. Sappiamo anche che non è facile acquisire questa mentalità, a causa degli errori che si commettono continuamente. Mettono alla prova le convinzioni personali che devono sostenere l’atleta nel reagire immediatamente a un singolo errore così come a una prestazione di gara insoddisfacente.

Insegnare ai giovani ad acquisire questa mentalità aperta verso gli errori, interpretandoli come unica occasione, dovrebbe essere l’obiettivo di ogni allenatore. Dobbiamo insegnare quello che affermava Aristotele e cioè che:

“Noi siamo ciò che facciamo costantemente. L’eccellenza quindi non è un atto ma una abitudine”.

Infatti, lo sport è pieno di storie di giovani che sono stati rovinati dal loro talento (fisico e tecnico), perché hanno pensato che questo dono fosse sufficiente per avere successo e quando poi la vita li ha messi di fronte alle prove decisive non sono stati capaci di fronteggiarli. Perché noi siamo ciò che facciamo quotidianamente, studio, lavoro e per gli atleti allenamento. Bisogna essere consapevoli che l’eccellenza nasce dall’abitudine ad allenarsi con dedizione e intensità. Chi non capisce che questa è la strada da percorrere quotidianamente, crede di sopperire con il proprio talento naturale; purtroppo è solo un’illusione che alle prime asperità verrà demolita. A controprova dell’importanza di questo approccio mentale, si può riportare quanto ha detto Roger Federer all’età di 38 anni:

“Per poter affrontare i più giovani ho dovuto reinventare il mio gioco, il tennis è in costante evoluzione”.

0 Risposte a “Il compito principale dell’allenatore”


  • Nessun commento

Contribuisci con la tua opinione