La pandemia ha cambiato il lavoro con gli atleti

Stiamo giungendo al termine del secondo anno dall’inizio della pandemia. Il primo lockdown iniziò a marzo 2020, da quel momento il lavoro di consulenza è completamente cambiato e a tutt’oggi questo cambiamento continua essere stabile ed è diventato, almeno nella mia esperienza, il modo di lavorare.

Il lavoro in remoto o online è diventato, infatti, il modello dominante con cui interagire con atleti e allenatori. In precedenza questo tipo di esperienza l’avevo vissuta solo in relazione alle Olimpiadi di Rio dove non ero andato ma avevo mantenuto i contati con gli atleti tramite WhatsApp o Skype.

Attualmente, quindi, a distanza di 21 mesi da marzo 2020 il lavoro che svolgo è per l’80% online. Funziona: abbastanza bene. Permette di seguire atleti che non avrebbero potuto intraprendere un programma di mental coaching poiché risiedono in altre città.

Il limite principale riguarda la mancanza del rapporto in presenza, in special modo durante allenamenti e gare. Si vive sul resoconto di quanto è avvenuto e, inoltre, non partecipando alle gare non è possibile fare interventi nel momento in cui sarebbe necessario.

Mi sembra che sia questa la mancanza più grave, l’impossibilità di lavorare sul qui-ed-ora, poiché si può solo lavorare sul prima e sul dopo.

Risparmiano le Federazioni che riducono le spese di soggiorno e viaggi e compensi del professionista che fosse presente alle gare. E’ un modo un po’ cieco d’impostare un lavoro ma questo è ciò che avviene.

Si potrebbe dire molto di più e a questo riguardo sono all’INSEP di Parigi proprio a condividere le esperienze di questi anni con un gruppo di psicologi provenienti da tutto il mondo e per provare a capire cosa fare meglio in previsione dele prossime Olimpiadi di Parigi 2024 da cui ci separano poco più di 900 giorni.

Gli atleti hanno continuato a fornire prestazioni eccezionali anche se si sono allenati di meno e si sono riposati di più a causa del lockdown e della mancanza di eventi sportivi. Questo dovrebbe fare riflettere sul ruolo rilevante del recupero e del conseguente fatto che allenarsi di più non è sempre produttivo.

E poi quante volte la durata dell’allenamento di una seduta corrisponde realmente al tempo reale di allenamento?

Inoltre, è opinione condivisa dai colleghi europei, qui in Francia, che gli atleti abbiamo acquisito in questo periodo una migliore autoregolazione, consapevolezza e autonomia. Avendo dovuto gestire da soli dei lunghi periodi, in assenza dell’abituale rapporto con l’allenatore e lo staff. Hanno avuto più tempo per sviluppare competenze psicologiche, anche diverse da quelle più tradizionali come la meditazione e la gestione del sonno.

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