Archivio mensile per febbraio, 2021

Pagina 2 di 3

Road map per allenarsi nel tiro a volo

La prima ragazza alla Ferrari

La 16enne olandese, Maya Weug, si trasferirà a Maranello e nel 2021 prenderà parte a tutte le attività dell’accademia, è la prima ragazza a entrare nella Driver Academy della Ferrari. “Quando si abbassa la visiera del casco siamo tutti uguali, non si vede più la differenza fra maschi e femmine.. Entrare in quest’accademia è una bella sensazione. Essere la prima donna a entrare qui è storico, sono contenta di poter dimostrare che è possibile riuscirci”.

L’arrivo di Maya nella stessa scuola frequentata da Mick, il figlio di Schumi, rappresenta un segno tangibile dell’impegno della Scuderia di rendere il motorsport sempre più inclusivo. Marco Matassa, Direttore Ferrari Driver Academy: “Siamo molto felici di dare il benvenuto a Maya nella Ferrari Driver Academy. Di lei ci ha colpito la dedizione e la preparazione sia sotto il profilo atletico che sotto quello dell’approccio alla competizione”.

La stessa Maya Weug dichiara: “Ricorderò questa giornata per sempre! Sono fuori di me dalla gioia per il fatto di diventare la prima pilota della Ferrari Driver Academy. La vittoria nella fase finale del programma FIA ‘Girls on Track – Rising Stars’ mi fa capire che ho fatto bene a inseguire il mio sogno in questi anni. Darò tutta me stessa”.

Risultato immagini per Maya Weug

Cosa sta mancando alle nostre sciatrici?

Cosa sta mancando alle nostre sciatrici? Probabilmente il coinvolgimento totale con la loro prestazione mentre invece domina una condizione mentale di ansia e preoccupazione eccessiva.

La cosiddetta «peak performance» è fornita dall’atleta la cui condizione mentale viene chiamata «flow state» o «stato ideale di performance» e in questa condizione si è totalmente assorbiti dalle componenti rilevanti della prestazione.

In termini applicativi si tratta di chiedere agli atleti di sviluppare conoscenze intorno un’idea relativamente semplice da affermare: “Se sei presente fisicamente in una determinata situazione, perché non sei completamente presente? Cosa serve perché anche la tua mente sia totalmente coinvolta in questo esercizio piuttosto che in questa gara?”.

Già negli anni ’80, Orlick e Partington intervistando atleti canadesi di vertice mondiale hanno rilevato che per loro era di fondamentale rilevanza entrare, prima dell’inizio della competizione, in una condizione di coinvolgimento globale, uno stato di prontezza mentale che somigliava quasi a una forma di sogno che diventava realtà. Analoghe testimonianze giocatori professionisti di golf di alto livello. L’immagine dominante in questi golfisti, espressione di un totale assorbimento nel compito era la seguente: essere concentrati solo sul tiro che si sta per eseguire e su null’altro d’interno o di esterno.

Le persone sviluppano quindi una strategia che gli permette di essere totalmente coinvolti nel compito, che parte dall’uso di metodi che favoriscono l’apprendimento e il perfezionamento di un particolare compito. Ad esempio, la pianista, Alicia del la Rocha per ottimizzare l’esecuzione di passi difficili di una partitura  si serve di una strategia basata sul suonarli in modo più lento e quasi sussurrato. Pure la gestione del tempo è essenziale in questo percorso di concentrazione, non tutti devono servirsi dell’approccio dello scrittore tedesco Goethe che sosteneva che le prime ore del mattino hanno l’oro in bocca. Pur nella differenza nella concezione di quali siano le ore migliori per lavorare, è stato comunque evidenziato che coloro che strutturano il loro tempo di scrittura si dimostrano efficaci, così come coloro che dedicano più tempo alla loro attività hanno maggiori probabilità di raggiungere i risultati sperati.

Quindi, in qualsiasi attività l’expertise è favorita dalla quantità e qualità del tempo speso uniti alla sua organizzazione temporale.

Un’applicazione pratica di questo approccio la si ritrova nella descrizione che Alessandro Del Piero riporta a proposito del volere imparare un determinato modo per calciare una punizione: “Al mondiale di Italia ’90 mi aveva colpito moltissimo il goal di Schillaci contro l’Uruguay … Ricordo che dopo ogni allenamento al Comunale, mi fermavo a provare i calci di punizione, in particolare quel famoso tiro di Schillaci. L’allenatore a volte mi chiedeva cosa facessi ancora lì in campo, e mi invitava a smettere perché non mi stancassi troppo. Io andavo avanti lo stesso, da solo. Sistemavo la palla, facendo una specie di piccola buca con lo scarpino, e lavoravo molto sul piede d’appoggio. Insomma, volevo ricreare le condizioni che avevano prodotto quel famoso tiro, e alla fine il colpo mi riuscì: era un Bologna-Juventus, vincemmo 3-1 e io misi finalmente a segno quel benedetto pallone in quel benedetto modo”.

Gli italiani stanno arrivando

Molto divertente il video di Prada.

Risultato immagini per Gli italiani stanno arrivando

Che bello ricominciare dai giovani nel tiro a volo

Oggi ho iniziato una nuova storia professionale con Francesco D’Aniello. Ci siamo conosciuti nel 2000 o forse un anno o due prima. Era un tiratore delle Fiamme Oro all’inizio di una carriera sportiva di successo che poi avuto con i picchi ottenuti vincendo 2 mondiali e l’argento a Pechino nel tiro a volo. Insieme abbiamo lavorato per molti anni, ogni settimana sul campo di tiro a volo a Lunghezza, Roma. Non partecipavo alle gare all’estero perchè non lavoravo per la federazione ma ci siamo ugualmente incontrati, partecipavo alle gare con atleti di altre nazioni e così sul campo avevamo comunque l’occasione di confrontarci.

Diventare un campione non è mai stato semplice e richiede non solo tempo e una pratica intelligente ma anche una intensa spesa mentale sostenuta da un’altrettanta intensa preparazione mentale. Per lunghi anni ci siamo incontrati, insieme al suo allenatore Pierluigi Pescosolido, un’altra collaborazione storica nella mia carriera, praticamente ogni settimana, compresi i mesi freddi da dicembre a febbraio, quando la maggior parte dei tiratori dedicava poco tempo all’allenamento. Con Pescosolido abbiamo organizzato allenamenti sempre fondati sulla qualità dell’azione tecnica e mai sulla quantità. La filosofia era: meglio tirare meno ma bene, allenando sempre la tecnica e la concentrazione. Quando dico che ci vedevamo spesso, intendo dire che abbiamo trascorso insieme almeno 50 giorni all’anno e in modo continuativo per almeno 10 anni. Scrivo questo, perché oggi molti giovani anche nel tiro a volo pensano che basti qualche incontro o qualche mese per raggiungere un livello ottimale di prestazione. Non c’è niente di più falso mentre è dimostrata la superficialità di questi ragionamenti.

La novità è che oggi Francesco D’Aniello gestisce il campo di Lunghezza e ho iniziato a lavorare con il gruppo di giovani tiratori che lo frequentano. Quindi la storia ricomincia da capo, educare e allenare mentalmente dei ragazzi/e a imparare ad allenarsi mentalmente, in uno sport il tiro al piattello in cui la concentrazione è decisiva per fornire prestazioni eccellenti. Per me è uno stimolo positivo, poiché si tratta di ripartire dagli elementi di base delle capacità mentali, dare a questi giovani il tempo per imparare e per confrontarsi con le loro paure in gara e scoprire chi avrà più tenacia e voglia di continuare in questo percorso che è molto impegnativo e non garantisce risultati.

Con Francesco cercheremo di trasmettere soprattutto la passione verso il miglioramento a prescindere dai risultati di gara, il valore dell’impegno intelligente per se stesso e non per quello che potranno raggiungere.

Rapporto: adolescenti e scuola

Scelte compromesse. Gli adolescenti in Italia, tra diritto alla scelta e povertà educativa minorile”

E’ il nuovo report nazionale dell’Osservatorio #conibambini promosso da Openpolis e Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.

  • I divari educativi dipendono anche dalla condizione di partenza. Chi ha alle spalle una famiglia con status socio-economico-culturale alto, nel 54% dei casi raggiunge risultati buoni o ottimi nelle prove di italiano. Per i loro coetanei più svantaggiati, nel 54% dei casi il risultato è insufficiente.
  • I 2/3 dei figli con entrambi i genitori senza diploma non si diplomano a loro volta.
  • Nelle grandi città vi è una relazione inversa tra indicatori di benessere economico e quota di neet: a Milano, Quarto Oggiaro ha il doppio di neet della zona di corso Buenos Aires, a Roma, Torre Angela ha il doppio di neet del quartiere Trieste, a Napoli, i quartieri con più neet compaiono anche nella classifica delle zone con più famiglie in disagio.
  • +25,2% il divario tra l’abbandono dei giovani con cittadinanza straniera e i loro coetanei.
  • L’emergenza Covid rischia di compromettere ancor di più il diritto alla scelta degli adolescenti. 

In Italia vivono 3 milioni di persone tra 14 e 19 anni. Se consideriamo la fascia di età che frequenta medie e superiori e limitandosi ai minori, sono 4 milioni i ragazzi di età compresa tra 11 e 17 anni. Si tratta di quasi la metà dei minori residenti in Italia (42%) e del 6,67% della popolazione italiana. Il report dell’Osservatorio indaga il fenomeno della povertà educativa legato a questa fascia di età.

L’abbandono scolastico prima del tempo, più frequente dove ci sono fragilità sociali, è l’emblema di un diritto alla scelta che è stato compromesso. E spesso non è che la punta dell’iceberg: dietro ogni ragazzo e ragazza che lascia la scuola anzitempo ci sono tanti fallimenti educativi che non possono essere considerati solo problemi individuali o delle istituzioni scolastiche. Sono fallimenti per l’intera società nel preparare la prossima generazione di adulti.

“Con la pandemia le disuguaglianze sociali ed educative crescono e aggravano una situazione caratterizzata da grandi divari strutturali – ha commentato Marco Rossi-Doria, vicepresidente di Con i Bambini. La povertà educativa, come evidenzia il report, ha spesso origine in queste disparità, non solo economiche, ma sociali e culturali. È un fenomeno che non può riguardare solo la scuola o le singole famiglie, ma chiama in causa l’intera ‘comunità educante’ perché riguarda il futuro del Paese. In questa fase di grandi difficoltà, i ragazzi dovrebbero rappresentare il fulcro di qualsiasi ripartenza. Non dovremmo criminalizzarli, come spesso accade, per alcuni comportamenti devianti o relegarli ad un ruolo passivo. Credo fortemente che siano una generazione migliore, hanno dimostrato grande senso di responsabilità, dovrebbero partecipare attivamente alle scelte che incidono sul futuro loro e, di conseguenza, del Paese. Dobbiamo loro – conclude Rossi-Doria – grandi opportunità”.

I divari educativi molto spesso dipendono dalla condizione di partenza. Per troppe ragazze e ragazzi la scelta appare già vincolata: dove nasci, in che posto vivi, la condizione sociale della famiglia contribuiscono a determinare molti aspetti. Dall’origine sociale e familiare ai livelli negli apprendimenti; dalle prospettive nel territorio in cui si abita all’impatto dell’abbandono scolastico. Su questi fattori, purtroppo, l’emergenza Covid rischia di incidere in modo fortemente negativo. Nei mesi scorsi abbiamo potuto constatare le profonde disuguaglianze tra le famiglie con figli nella possibilità di adeguarsi ai ritmi e agli stili di vita imposti dalla pandemia.

Partiamo dall’istruzione. Tra gli alunni di terza media, all’ultimo anno prima della scelta dell’indirizzo da prendere, i divari sociali sono molto ampi. Chi ha alle spalle una famiglia con status socio-economico-culturale alto, nel 54% dei casi raggiunge risultati buoni o ottimi nelle prove di italiano. Per i loro coetanei più svantaggiati, nel 54% dei casi il risultato è insufficiente.

Questi dati ci dicono come la condizione sociale si trasmetta di generazione in generazione. Nascere in una famiglia con meno opportunità da offrire significa generalmente partire già svantaggiato anche sui banchi di scuola. Dai dati sull’abbandono scolastico emerge che i due terzi dei figli con entrambi i genitori senza diploma non si diplomano a loro volta.

Il livello di istruzione, di competenze e conoscenze è strettamente collegato anche alle possibilità di sviluppo di un territorio. Nei test alfabetici l’87% dei capoluoghi del nord Italia presenta un risultato superiore alla media italiana. Nell’Italia meridionale e centrale la quota di comuni che superano questa soglia scende rispettivamente al 25% e al 36%. Un dato che, oltre a confermare i profondi divari territoriali tra gli adolescenti italiani, sembra essere legato alla quota di famiglie in disagio nelle città.

La principale minaccia per le prospettive future di un adolescente è uscire dalla scuola superiore senza un’istruzione adeguata. Questo rischio è molto più concreto nelle aree interne, dove l’offerta educativa viene più spesso minata da fattori come l’alta mobilità dei docenti, pluriclassi composte da alunni di età diverse, scuole sottodimensionate. Confrontando i risultati Invalsi degli adolescenti che vivono nelle aree interne con il dato medio regionale emergono due aspetti. Il primo è che, con poche eccezioni, i punteggi degli adolescenti dei comuni interni sono più bassi di quelli dei loro coetanei. Il secondo è che la condizione educativa delle aree interne non è omogenea in tutto il paese. Tra quelle più popolose, la migliore nei test di italiano (Basso Ferrarese) supera non solo la media delle aree interne italiane (+7 punti), ma anche la media nazionale complessiva (di oltre 4 punti) e quella emiliana (+2,42). Al contrario, la peggiore nei test di italiano (Calatino) è a -14 punti dalla media siciliana, a -16 da quella nazionale delle aree interne e quasi 20 punti al di sotto della media nazionale complessiva.

Una evidenza interessante rispetto all’analisi della presenza di giovani che non studiano e non lavorano nelle grandi città italiane è la relazione inversa tra gli indicatori di benessere economico (ad esempio, il valore immobiliare) e la quota di neet. I giovani che non lavorano e non studiano spesso si concentrano nelle zone socialmente ed economicamente più deprivate.

Napoli, i 10 quartieri con più neet in ben 8 casi compaiono anche nella classifica delle 10 zone con più famiglie in disagio. A Milano, Quarto Oggiaro ha il doppio di neet rispetto a zona di corso Buenos Aires. A Roma, a Torre Angela la quota di neet è oltre il doppio del quartiere Trieste.

Altra differenza sostanziale si registra prendendo in riferimento la cittadinanza. È di 25,2% il divario in punti percentuali tra l’abbandono dei giovani con cittadinanza straniera e i loro coetanei.

In Italia un adolescente su 12 ha una cittadinanza diversa da quella italiana. Poco meno di 200 mila persone, contando i minori stranieri dai 14 anni in su. Oltre 300 mila ragazze e ragazzi, se si considerano i residenti tra 11 e 17 anni. Nel caso degli adolescenti senza la cittadinanza italiana, sono diversi i segnali che indicano come particolarmente forte la minaccia della povertà educativa. Dalle difficoltà di inserimento nel percorso scolastico, alle disuguaglianze nell’accesso agli indirizzi delle scuole superiori. Fino all’abbandono precoce degli studi, fenomeno particolarmente preoccupante tra i giovani.

Infine, gli altri divari. Già prima dell’emergenza (2019), il 9,2% delle famiglie con almeno un figlio si trovava in povertà assoluta (contro una media del 6,4%). Quota che tra i nuclei con 2 figli supera il 10% e con 3 o più figli raggiunge addirittura il 20,2%. Ma anche i divari territoriali e nella condizione abitativa, con il 41,9% dei minori vive in una abitazione sovraffollata. Un ulteriore aspetto critico è stato rappresentato dai divari tecnologici. Prima dell’emergenza, il 5,3% delle famiglie con un figlio dichiarava di non potersi permettere l’acquisto di un computer. E appena il 6,1% dei ragazzi tra 6-17 anni viveva in una casa con disponibilità di almeno un pc per ogni membro della famiglia. Per tutti questi motivi, l’esperienza della pandemia è stata ed è spesso tuttora vissuta in modo molto diverso sul territorio nazionale, con effetti che gravano soprattutto sui minori e le loro famiglie. Si pensi all’impatto del lockdown per i bambini e i ragazzi che vivono in case sovraffollate, oppure alla possibilità di svolgere la didattica a distanza dove mancano i dispositivi o l’accesso alla rete veloce.

Z Gen sta sfidando la nozione di tifoso

L’analisi della Nielsen sugli ascolti del 2019 negli Stati Uniti mostra che quasi tutti i contenuti più visti provengono dai colossi dello sport tradizionale. Quindi potrebbe sembrare sorprendente che ci sia poco entusiasmo fra i principali detentori di diritti sportivi.

La realtà emergente è che la nuova generazione, tra i 16 e i 24 anni, è tutt’altro che motivata a inserirsi nel lucrativo franchising di consumatori di sport sviluppato dall’invenzione dei mass media negli anni ’50. Il calo di presenze e spettatori è già una realtà per chi non si evolve abbastanza velocemente.

Ci sono differenze chiave in questa nuova generazione che derivano dall’ambiente in cui sono cresciuti. Hanno aspettative più elevate per le esperienze di intrattenimento rispetto alle generazioni precedenti e nuovi modi di scoprire e consumare contenuti.

I dati dello studio Nielsen Fan Insights su otto diversi mercati (Cina, Francia, Germania, Italia, Giappone, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti) rivelano che i giovani tra i 16 e i 24 anni preferiscono contenuti più brevi e “snackabili” e, dal punto di vista sportivo, sono meno inclini a guardare le partite per intero.

Questo non significa che i loro tempi di attenzione siano più brevi – se il contenuto è sufficientemente coinvolgente e fornisce opportunità regolari di interagire, sono ancora disposti a investire tempo significativo. Gli appassionati di videogiochi online negli Stati Uniti ne sono un esempio – il 29% sotto i 25 anni dichiara di guardare continuamente per una o due ore, mentre il 14% guarda per tre o quattro ore alla volta.

Un altro mito da sfatare è che questa generazione non ha soldi, o non è disposta a pagare per i contenuti. La nostra ricerca mostra che i consumatori della Gen Z non sono contrari a pagare per i contenuti premium, ma si aspettano sempre più una proposta di valore su misura – cioè, vogliono essere in grado di pagare solo per quello che vogliono, dove e quando, e senza alcun impegno contrattuale a lungo termine.

In gran parte per queste ragioni, stanno aiutando a guidare la tendenza crescente tra i consumatori a “tagliare il cordone” dei tradizionali abbonamenti alla pay-TV. E ciò che vogliono guardare si sta anche spostando verso una quota maggiore di contenuti originali più autentici, per esempio dietro le quinte, documentari, ecc. Vogliono essere più vicini ai loro sport e giocatori preferiti, al di là della semplice visione di una partita o di un evento sportivo.

La crescita dello streaming dello sport dal vivo non equivale necessariamente alla scomparsa della visione su grande schermo, anche se – per esempio, DAZN afferma che quasi due terzi del consumo della sua piattaforma è ancora attraverso la TV, con i dispositivi mobili utilizzati solo quando necessario. In Australia, il 58% della visione sul servizio OTT Kayo Sports dal lancio nel novembre 2018 è stato tramite il grande schermo. E, naturalmente, una percentuale maggiore di questa nuova generazione vive ancora a casa, rispetto alle coorti precedenti, quindi guarderà sul grande schermo di famiglia o scapperà al bar sportivo locale.

A Marquez adesso serve uno psicologo

A Marquez adesso serve uno psicologo.

Lo dice Alberto Cei, lo psicoterapeuta degli sportivi

No alt text provided for this image

Le 10 regole vincenti di Tom Brady

  1. Fiducia - Non solo è fiducioso, ma agisce in modo che la sua squadra abbia la stessa sensazione. “Penso che si possa fingere fino a quando non ce la si fa, e penso che si possa mostrare entusiasmo e fiducia anche quando si è appena iniziato. Come leader, devi portarlo alla squadra”.
  2. Lavorare sotto pressione - In passato ha spesso perso la calma quando era sotto pressione. C’è molta adrenalina quando si sta giocando, ma Brady  spesso urlava in faccia al suo allenatore o a chiunque fosse sulla sua strada. Poi ha imparato a gestire la pressione ed è diventato molto più maturo.
  3. Capire l’avversario - Tom Brady non passa solo molto tempo a migliorare le sue mosse e a motivare la squadra. Il modo migliore per battere la concorrenza è sapere come pensano e prevedere il loro prossimo passo. Tom Brady lo sa, e prima di una partita analizza a fondo l’altra squadra e studia le loro strategie. Questa dedizione dà a lui e alla sua squadra un vantaggio sulla concorrenza.
  4. Essere competitivi - Tom Brady è noto per essere “la persona più competitiva che si possa incontrare”. Naturalmente, ci sono alcuni lati negativi: abbiamo visto la sua rabbia quando perde. I compagni di squadra hanno rivelato che ha fatto un discorso di incoraggiamento alla squadra per assicurarsi che avrebbero vinto una partita di beneficenza contro una squadra amatoriale.
  5. Affronta le critiche costruttive - Tom Brady è uno dei migliori quarterback di tutti i tempi. Ma Bill Belichick, il suo ex-allenatore, non si trattiene quando ha bisogno di richiamare l’attenzione di Brady sul suo comportamento in una partita o quando non performa nel modo che ci si aspettava. Brady riconosce la necessità di quella critica.
  6. Grande comunicazione - Tom Brady è un maestro della comunicazione. Josh McDaniels, il coordinatore offensivo dei Patriots, ha elogiato Brady per la sua capacità di comunicare con giocatori di tutte le età. Secondo McDaniels, il ruolo principale di un quarterback è quello di avere una comunicazione efficace con la squadra e aiutarla a seguire la stessa direzione.
  7. Lavora duro e lo ama - “Amo semplicemente lavorare duro. Amo essere parte di una squadra. Amo lavorare per un obiettivo comune”, ha rivelato l’atleta durante un’intervista. La sua dedizione motiva anche la squadra ad essere impegnata e a lavorare duro come lui.
  8. Avere una famiglia di supporto - Tom Brady è sposato con Gisele Bündchen. Ha tre figli, due dei quali con la modella brasiliana, e tutta la famiglia è molto orgogliosa del suo successo e solidale. Gisele ha festeggiato quando Tom Brady ha vinto il suo sesto Super Bowl. Ha condiviso una foto di famiglia, lodando il giocatore per il suo “instancabile impegno, disciplina e duro lavoro”.
  9. Assumersi le responsabilità - Come un grande leader, Tom Brady si prende la responsabilità delle sue azioni e anche della sua squadra. Quando i Patriots non erano nella loro forma migliore, spesso il quarterback diceva che era stata colpa sua. Nel 2018, dopo che i Patriots hanno perso una partita, ha affermato che “è stata sicuramente colpa mia”.
  10. Riposarsi - “Un sonno adeguato mi ha aiutato ad arrivare dove sono oggi come atleta, ed è qualcosa su cui continuo a fare affidamento ogni giorno”, ha detto Brady. Durante l’offseason spesso vediamo Tom Brady e la sua famiglia godersi la vita in Costa Rica, dove hanno una casa.

Cosa impariamo da CR7 e Ibrahimovic?

Lo scudetto dei totem, scrive oggi Maurizio Crosetti su Repubblica. Si tratta di CR7 e di Ibrahimovic, rispettivamente 36 e 39 anni, trascinano Juventus e Milan nonostante l’età.

Non sono i soli, Tom Brady ha 43 anni, LeBron James 36, Federer 39 per citarne solo alcuni.

Perchè continuare a parlare di loro, non si è detto già tutto.

Sì sono campioni ma hanno qualcosa da insegnare a tutti e cioè che oltre il loro talento e mentalità vincente ci dicono che il segreto della loro lunga vita sportiva è nella continua ricerca della forma fisica, del prendersi di se stessi a 360 gradi.

Una domanda: Quanti non sportivi, quindi la maggioranza della popolazione, si sono mai fermati a riflettere sul fatto che il benessere personale si fonda in larga parte sulla forma fisica?