Corona virus e mentalità: una battaglia persa

Ora comincia la fase dell’autocontrollo. C’è stato un caso di covid in un torneo internazionale di golf, lo stesso è accaduto ad Adria nel torneo promosso da Djokovic, dove un finalista è risultato positivo. Nel calcio ci sarà un quarantena blanda nel caso in cui il virus colpisse un calciatore o altri membri della squadra. Segnali piccoli ma negativi, che ci spingono a vivere in apnea, come in attesa.

Segnali sempre di segno negativo e più rilevanti vengono dall’Italia. Vi sono dati statistici che dicono che il numero dei positivi non sta scendendo come previsto, probabilmente a cause di comportamenti inadeguati di parte della popolazione. E ciò aumenterebbe la probabilità di una seconda ondata in autunno. Secondo una ricerca condotta dall’Università Cattolica il 41% degli italiani non sembra disposto a vaccinarsi contro il Covid. Al momento solo pochi milioni di persone di persone hanno scaricato l’App Immuni. Sono soprattutto le persone tra 35 e 59 anni (con il 48%) a dichiarare di non volersi vaccinare, si tratta anche di un gruppo trasversale in relazione alle professioni che unisce operai e imprenditori, dipendenti e professionisti. Sono accomunati da un profilo psicologico in cui prevale un atteggiamento “fatalista”, “individualista ed egoista” e che non percepiscono il valore della responsabilità sociale. La ricerca ha messo in evidenza che rispetto a marzo, è diminuito l’autocontrollo della popolazione a rispettare le regole, sono aumentati i comportamenti disfunzionali ed è diminuita la disponibilità emotiva a continuare a rispettarle.

Pertanto, queste persone mostrano una difficoltà a integrare il ritorno alla normalità nell’ambito di regole che non siano quelle abituali ma che implicano la consapevolezza del ruolo sociale di ognuno nei riguardi della gestione della propria salute e la responsabilità verso la comunità in cui si vive. Questi atteggiamenti disfunzionali sono quelli usuali che le persone utilizzano per giustificare a se stessi comportamenti che in modo evidente sono negativi per la loro salute, basta pensare ai problemi legati al fumo, all’alimentazione e alla sedentarietà, solo per ricordare quelli più comuni nella nostra società. L’approccio fatalista (“Non morirò certo io di tumore perché fumo” o “Tanto si deve morire di qualcosa”) e quello individualista (“Dicano quello che vogliono a me piace fumare” o “La vita è la mia e faccio quello che mi pare”) sono nemici della vita sociale e dell’autocontrollo personale. Ci troviamo di fronte, quindi, alle reazioni che le persone manifestano di fronte a quei problemi che richiedono soluzioni che si sviluppano nel lungo periodo e non si concludono in modo rapido. Non sono reazioni diverse da quelle che hanno utilizzato in passato ma sinora coinvolgevano prevalentemente solo se stessi. A questo approccio si deve aggiungere che accalcarsi in una piazza per divertirsi con gli amici produce immediatamente emozioni positive mentre rispettare le regole del distanziamento fisico per mantenersi in salute produrrà solo nel tempo un effetto positivo. In sostanza, questi comportamenti sono rinforzati dai benefici immediati che determinano e che superano i costi e le conseguenze nel tempo.

Serve un cambio di mentalità poiché ora è completamente diverso e le ricadute delle nostre azioni hanno effetto sulla salute degli altri con cui entriamo in contatto. La differenza risiede nella pandemia che coinvolge l’intera società, che ha messo a dura prova la vita quotidiana di tutti e continua ancora a cambiare le regole della convivenza sociale e del lavoro. Tutto ciò richiede una soluzione collettiva, che riduca drasticamente i comportamenti disfunzionali ed è tutto il paese che dovrà muoversi attivamente in questa direzione.

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