Archivio mensile per marzo, 2018

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Per l’allenatore è importante valutare le proprie esperienze professionali

Un fattore importante per il miglioramento del lavoro dell’allenatore riguarda la sua abilità nel valutare la sua esperienza professionale e consiste nel riflettere sulla propria attività, ponendo l’accento in particolare sulle interazioni con l’atleta o la squadra in allenamento e in gara. L’allenatore deve valutare l’efficacia e l’efficienza del suo lavoro, le reazioni dei suoi atleti, deve analizzare le difficoltà che incontra, come le ha affrontate e quali soluzioni ha sperimentato.

Questa attività deve essere portata avanti nel tempo in modo costante, focalizzandosi su quanto avviene durante le sedute e in gara. Non è quindi un impegno episodico o che si svolge perché si deve risolvere un problema, non si prefigura come un’attività di pronto soccorso, deve invece essere parte del modo di agire abituale. In tal senso l’allenatore è un facilitatore, poiché favorisce la creazione di un clima adatto a svolgere al meglio l’allenamento,  sviluppando negli atleti la voglia di gareggiare e una mentalità vincente. Il tecnico non può fare a meno di riflettere sulla sua esperienza professionale e deve essere consapevole:

  1. delle decisioni che prende,
  2. di quali sono i parametri che gli permetteranno di sapere che l’allenamento è stato efficace,
  3. di cosa si aspetta dagli atleti in relazione alle esercitazioni che svolgono,
  4. delle difficoltà che potrebbero incontrare e le soluzioni da adottare,
  5. di come affrontare le competizioni e come valutarne i risultati,
  6. di avere un piano per affrontare imprevisti e eventi inattesi,
  7. di cosa distingue una stagione di successo da una insoddisfacente,
  8. di come potrebbe gestire i momenti difficili che inevitabilmente si presenteranno,
  9. del modo in cui affronta gli stress connessi alla professione di allenatore,
  10. di come si rapporta con lo staff e con la dirigenza.

Conversazione with Albert Bandura

How to produce a first-class paper that will get published

  • The discussion section is so weak that it’s obvious the writer does not clearly understand the existing literature. Writers should put their results into a global context to demonstrate what makes those results significant or original.
  • In the conclusion, include a one- or two-sentence statement on the research you plan to do in the future and on what else needs to be explored.
  • ‘What’s new’ element is buried. Answering one central question — What did you do? — is the key to finding the structure of a piece. Every section of the manuscript needs to support that one fundamental idea.
  • Scientific authors are often scared to make confident statements with muscularity. The result is turgid or obfuscatory writing that sounds defensive, with too many caveats and long lists — as if the authors are writing to fend off criticism that hasn’t been made yet.
  • The reader’s job is to pay attention and remember what they read. The writer’s job is to make those two things easy to do.
  • Humans are story-telling animals. If we don’t engage that aspect of ourselves, it’s hard to absorb the meaning of what we’re reading. Scientific writing should be factual, concise and evidence-based, but that doesn’t mean it can’t also be creative.
  • Structure is paramount. If you don’t get the structure right, you have no hope.
  • I co-wrote a paper (B. Mensh and K. Kording PLoS Comput. Biol. http://doi.org/ckqp; 2017) that lays out structural details for using a context–content–conclusion scheme to build a core concept.
  • It’s crucial to focus your paper on a single key message, which you communicate in the title.
  • They need to explain why the findings are interesting and how they affect a wider understanding of the topic. Authors should also reassess the existing literature and consider whether their findings open the door for future work.
  • There have been no in-depth studies linking the quality of writing to a paper’s impact, but a recent one (N. Di Girolamo and R. M. Reynders J. Clin. Epidemiol. 85, 32–36; 2017) shows that articles with clear, succinct, declarative titles are more likely to get picked up by social media or the popular press.
  • If you write in a way that is accessible to non-specialists, you are not only opening yourself up to citations by experts in other fields, but you are also making your writing available to laypeople, which is especially important in the biomedical fields.

Recensione libro: Francesco Panetta – Io corro da solo

Io corro da solo

Francesco Panetta

Gemini Grafica Editrice, 2017

«Molti libri sono stati scritti intorno all’atletica e alla corsa e soprattutto al mondo della corsa lunga. Lo faccio anch’io, evitando però di dare consigli a chi ama la disciplina. Ho realizzato questa pubblicazione con un’impronta diversa. Racconto delle mie esperienze, iniziando da quando ragazzino correvo con i miei amici in Calabria: il primo paio di scarpe da “tennis”, la prima corsa, l’arrivo a Milano. In queste 150 pagine non ci sono né tempi, né allenamenti, ma storie: la Pro Patria, i sogni, le mie opinioni sull’atletica e, nel trentesimo anniversario del mio successo Mondiale nelle siepi a Roma, un lungo capitolo dedicato a quella che è stata la mia grande impresa, senza tralasciare l’Europeo vinto tre anni dopo a Spalato nella stessa distanza».

Riporto le caratteristiche psicologico di Panetta che emergono dall’intervista raccolta da Roberta Orsenigo.

Lottare “Era una mia caratteristica. Per me significava esprimere la mia forza fisica e mentale, non certo per spaventare gli altri. Io salivo sul ring e stabilivo la mia legge”.

Avventura “Correre contro un avversario è come praticare la pesca d’altura, tu non sai quanto è grosso il pesce che hai all’amo, ma nemmeno lui sa quanto grosso e cazzuto sei tu. Vince spesso il più astuto, non il più forte”.

Motivazione interiore “Ho sempre corso per me stesso, un viaggio durato quasi vent’anni. E’ uno sport individuale, la mente non la spegni mai. Devi avere la presunzione di essere sempre il migliore, la convinzione di essere il più forte”.

Allenatore eccellente “Giorgio Rondelli sapeva come correvano i miei avversari, era sempre in campo con me, mi motivava. Il tecnico non deve solo preparare le tabelle, ma deve essere una presenza costante nella vita di un atleta”.

Fisico e Testa “Si diventa campioni con il fisico, la testa e grazie alle persone che ti consigliano. Il talento non basta. E’ come studiare sempre”.

Sfidarsi “Ogni volta che stabilivo un personale, Rondelli mi faceva competere con i meno bravi. Mi diceva: solo quando riuscirai a tener a bada i più lenti, allora potrai confrontarti con i migliori. Allenarsi significa imparare a fare le cose che non sai fare”.

Passione “Perché correvo? Correvo perché mi piaceva andare forte, migliorarmi. Se potessi tornare indietro, però, non vorrei ritrovarmi sul rettilineo della pista di Roma, ma in quel paesino finlandese dove ho passato ore ad allenarmi. Oppure a Nova Milanese, quando correvo dietro la bicicletta del mio allenatore”.

Juve-Milan è stata la prima partita trasmessa in TV

Il 5 febbraio 1950 la Rai trasmise Juventus-Milan per la sola città di Torino. Il Milan del tridente Gre-No-Li travolse i bianconeri per 7-1. Si trattava, però, solo di un esperimento: la Rai avrebbe cominciato a trasmettere ufficialmente solo quattro anni dopo.

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