Archivio mensile per ottobre, 2017

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Calcio integrato per bambini con disabilità intellettiva

La Fondazione Roma Cares e l’Accademia di Calcio Integrato continuano anche quest’anno il progetto “Calcio Insieme” diretto a bambini/e di 6-13 anni con disabilità intellettiva. Il progetto vuole servirsi del calcio per promuovere lo sviluppo psicologico, motorio, sportivo e sociale dei giovani. Il programma si propone come un allenamento sportivo adattato alle esigenze di ognuno, con valutazioni motorie e psico-sociali specifiche (inizio durante e fine anno) per dimostrare che tutti possono imparare se seguiti da professionisti qualificati (istruttori, psicologi dello sport, logopedista e medici) con sedute di allenamento e apprendimento organizzate in unità didattiche della durata di 60 minuti per due volte la settimana. Il progetto è stato riconosciuto come progetto pilota della FISDIR e si svolge in collaborazione con la ASLRoma1.

Per informazioni rivolgersi a: segreteria@accademiacalciointegrato.org

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Le ragioni psicologiche delle prestazioni negative della nazionale di calcio

Le ragioni delle prestazioni negative della nazionale di calcio sono anche psicologiche e sembra che questo tipo di spiegazione non sia stato sinora preso in considerazione dal ct mentre a questo riguardo i giocatori più significativi, in primis Buffon e la BBC, abbiano espresso delle idee piuttosto chiare. Tutto è partito dalle dichiarazioni successive alla sconfitta con la Spagna. Ventura ebbe a dire che i giocatori erano professionisti che avrebbero saputo reagire positivamente al 3-0 subito e che questo risultato non avrebbe avuto alcun impatto negativo sulla fiducia della squadra. Opposte sono state invece le parole di Buffon dopo la partita con la Macedonia:

Quindi, alla nazionale per uscire da questa fase negativa serve fiducia, consapevolezza della propria forza, sapere alzarsi dopo le sconfitte, sapere aiutarsi, divertirsi, essere disinibita e positiva. Ma la squadra è stata impostata su questi principi? E quale era il piano B (quello che si mette in atto quando le cose non vanno per il verso giusto) prima della partita con la Spagna e con la Macedonia? Come sono aiutati i giocatori durante i raduni a potenziare questa mentalità suggerita da Buffon e che è alla base di qualsiasi mentalità vincente? Certamente è vero che le abilità psicologiche si acquisiscono nel tempo e non in un fine settimana. Inoltre, alcuni calciatori non trovano spazio nella loro squadra di club e così non hanno modo di mettersi di frequente alla prova, in partite che bisogna assolutamente vincere. Ciò nonostante mi piacerebbe almeno una volta sentire dire dal ct che incontrare delle difficoltà psicologiche fa parte del gioco e che, proprio perché i calciatori sono dei professionisti, si sta lavorando anche sull’approccio mentale alla partita e sul saperla giocare con una mentalità vincente. Poi vinca il migliore.

 

Le ragioni per cui i master in PS non servono a favorire il lavoro degli psicologi

In Italia la questione della formazione in psicologia dello sport degli psicologi continua a essere un problema non risolto. Tralasciando quelli il cui solo scopo è di fare lavorare i formatori che v’insegnano, anche quelli meglio strutturati hanno notevoli limiti.

Vediamo quali sono a mio avviso:

  1. La quasi totalità propone una formazione centrata a insegnare competenze che dovranno servire per lavorare nell’ambito della prestazione di livello assoluto ed essenzialmente con gli atleti, ignorando la consulenza con gli allenatori o l’organizzazione sportiva. In tal modo molti aspetti del mondo sportivo di alto livello non vengono considerati e i giovani laureati avranno, di conseguenza, difficoltà a interagire con una parte fondamentale (gli allenatori, i dirigenti) dell’ambiente degli atleti.
  2. Due ambiti importanti di lavoro vengono tralasciati nella formazione in psicologia dello sport. Il primo riguarda i programmi di avviamento allo sport (6-12 anni) e l’età dell’adolescenza. Questo ambito, è tra l’altro uno di quelli più facilmente aperti agli psicologi ma in cui è necessario avere delle competenze specifiche mentre quelle riguardanti l’alto livello non sono spendibili se pensiamo all’infanzia e vanno comunque adeguate anche nelle diverse età dell’adolescenza. In queste fasce di età, inoltre, il rapporto con i genitori rappresenta un altro fattore con cui si deve interagire in modo costruttivo. Il secondo ambito importante riguarda, lo sport come diritto di cittadinanza e come fattore di benessere. Anche in questo settore gli psicologi non acquisiscono competenze, se non una generica convinzione che lo sport è un fattore essenziale per la vita di ognuno e della comunità.
  3. Un campo in cui gli psicologi non hanno competenze specifiche riguarda la metodologia dell’allenamento e l’insegnamento sportivo. Com’è possibile interagire con gli allenatori (molti dei quali oggi sono laureati in scienze motorie che hanno sostenuto diversi esami di psicologia) se non si conosce il loro mondo e se non si ha consapevolezza di come s’imparano i gesti sportivi, di cosa sia l’apprendimento motorio o di quale sia l’interazione fra preparazione fisica e psicologia?
  4. Un ulteriore aspetto limitativo dei master odierni è la mancanza di un tirocinio supervisionato per un tempo adeguato (almeno di quattro mesi) presso un’organizzazione sportiva. Ciò che è comune in qualsiasi altro tipo di master, è invece pressoché assente nei master in psicologia dello sport.
  5. Un ultimo aspetto limitante le proposte formative attuali, riguarda l’assenza di come lo psicologo dovrebbe proporsi nell’ambito territoriale e professionale in cui intende svolgere la sua attività. Il tema è quello del marketing di se stessi, essenziale, poiché bisogna sapere come proporsi, come costruire il proprio network professionale, come scrivere un progetto e negoziare un budget, come interagire con i dirigenti di un società sportiva che probabilmente hanno un’idea generica di quali servizi lo psicologo dello sport potrebbe offrire.
A mio avviso, la mancanza di questi ambiti formativi riduce notevolmente le opportunità di promozione e diffusione di questo ambito lavorativo, lasciando lo psicologo in una condizione di minorità rispetto alle altre professionalità che da tempo operano in modo consolidato nello sport.

 

 

I principali errori mentali degli atleti

I principali errori che compiono gli atleti:

  1. Pensare che sentirsi in forma, sia sufficiente per fare un’ottima gara.
  2. Visualizzare la propria gara senza prevedere le possibili difficoltà che si potranno incontrare e non prevedere un modo per risolverle.
  3. Essere troppo/poco attivati, spinti dal desiderio di volere fare bene o dalla paura di non riuscirci.
  4. Essere preoccupati per la gara, tanto da non essere concentrati sul presente ma su ciò che potrebbe capitare di negativo.
  5. Non considerare le fasi di difficoltà della gara come una parte normale della prestazione ma come incapacità personali.

 

 

 

 

Chi si assume la responsabilità dello sviluppo dell’atleta?

La fiducia è un tema di cui gli psicologi parlano spesso e che altrettanto spesso gli allenatori utilizzano per sottolineare che gli errori dei loro atleti sono determinati da una carenza di questa dimensione psicologica. Talvolta questa spiegazione serve a nascondere carenze dei coach ma altre evidenzia limiti nello sviluppo psicologico dei ragazzi.

Su questo argomento si può dire molto. Uno ad esempio deriva dall’approccio integrazionista allo studio della personalità che spiega che i comportamenti derivano dalla relazione fra la personalità dell’individuo, le situazioni da affrontare, le competenze specifiche e le aspettative del suo ambiente sociale.

Giacché la situazione è così complessa, nessuno fra atleti, allenatori e staff, società sportiva e genitori possono sottrarsi alle loro responsabilità, che riguardano la costruzione nel lungo termine dell’atleta.

Quanti affrontano la questione delle prestazioni deludenti servendosi di questa visione? Quante società sportive sono organizzate per soddisfare questo bisogno tenendo in considerazione queste variabili?

Auto-Efficacia in atletica

Olympic Coach, 2017, 28 (1), 4-11 

Creating Confidence: The Four Sources of Self-Efficacy

Matthew Buns, Assistant Cross Country and Track & Field Coach, Concordia University, St. Paul

“Whether you think you can or think you can’t, you’re probably right.” – Henry Ford

Raramente in atletica l’importanza della mente viene messa in discussione. Agli specialisti in psicologia dello sport viene spesso chiesto di rispondere alla domanda “come faccio a rendere i miei atleti più sicuri?”. Ci sono molti aspetti nel training e nella competizione che possono scuotere la fiducia di un atleta, dall’importanza dell’evento, a temere taluni concorrenti, alla sfida della gara. Gli allenatori spesso desiderano che i propri atleti abbiano fiducia nel loro training, ma non è sempre così semplice come sembra. Lo scopo di questo articolo è di fornire linee guida agli allenatori per insegnare la prontezza mentale e dimostrare perché può essere rilevante tanto quanto la prontezza fisica. Un allenatore non deve necessariamente essere un psicologo dello sport per realizzare come le prestazioni migliorano grazie a un diverso approccio mentale. Al fine di essere mentalmente pronti a competere gli atleti devono essere fiduciosi in se stessi e mostrare un alto livello di autostima. Inoltre, un atleta deve possedere qualcosa di più specifico: un alto livello di auto-efficacia. L’auto-efficacia di per sé, è un migliore antecedente delle prestazioni rispetto alle aspettative di risultato (goal setting). È uno degli aspetti mentali più importanti, situazione specifico, che un allenatore di atletica può instillare in loro atleti.