Archivio mensile per ottobre, 2016

L’Italia un paese di tiratori

Le storie dello sport sono costruite sulla capacità, la tenacia e la costanza nel tempo degli atleti.

Il tiro al piattello e il tiro a segno sono a questo riguardo un esempio di eccellenza italiana che unisce le aziende produttrici degli strumenti di questi sport all’abilità degli atleti.

Le storie di Giovanni Pellielo e di Niccolò Campriani ne rappresentano i momenti più significativi. Se praticassero sport più glamour come il golf, le moto o il tennis sarebbero ogni giorno sulle pagine dei giornali. Praticano invece gli sport di tiro a, sport cosiddetti minori, che raggiunge le cronache solo nei giorni delle Olimpiadi. Pellielo, detto Johnny, quarantasei anni, soprannominato il tiratore di Dio per la sua fede, anche questa estrema così come lo è la sua vita di atleta, è l’atleta più forte della storia di questo sport. Ha vinto quattro volte il campionato del mondo e quattro medaglie in altrettante Olimpiadi. Ci si dovrebbe rivolgere a lui per sapere e capire come sia possibile che dopo così tanti anni di attività, sia rimasta intatta la volontà d’impegnarsi per continuare a livelli mondiali assoluti. Negli ultimi quattro anni si è classificato primo, terzo e secondo ai campionati del mondo e ora ha aggiunto ai suoi successi la medaglia d’argento di Rio. La sua motivazione è basata sulla continua voglia di ricercare la perfezione, nella consapevolezza che non potrà mai essere raggiunta. Infatti, è capace di mettere spessori anche solo di un millimetro nel calcio del fucile per sperimentare differenze che quasi nessuno sarebbe in grado di percepire. Vuole dire essere tutt’uno con il proprio strumento sportivo, per raggiungere quella confidenza che gli consente di esprimersi a livelli assoluti da più di venti anni.

Niccolò Campriani, alle Olimpiadi ha vinto tre ori e un argento ed è stato il primo italiano a vincere nel tiro a segno un campionato del mondo individuale.  Ha scritto un libro «Ricordati di dimenticare la paura», in cui racconta che la misura del suo fallimento alle Olimpiadi di Pechino aveva lo spessore di  3,34 mm, equivalente a due monete da un centesimo sovrapposte: “Dopo cinquantanove colpi perfetti sono fuori dalle Olimpiadi. Tradito dal mio cuore. Eliminato. Tutto è perduto. Per due centesimi”. Da quel momento è iniziata la ricostruzione della propria fiducia, che lo portò a studiare negli USA dove iniziò un programma di sviluppo personale insieme al Prof. Edward Etzel, psicologo e oro a Los Angeles nella carabina.

Anche Pellielo ha raggiunto questi risultati grazie alla sua abilità nel gestire le tensioni agonistiche che vive in queste grandi competizioni. “Sono terrorizzato prima d’iniziare” è una sua frase ricorrente ed è in questi momenti, tutt’altro che piacevoli, che nasce dentro di lui il modo per affrontare queste emozioni, che porterebbero la maggior parte degli atleti alla distruzione, mentre sono per lui la base su cui costruire la fiducia di potercela fare anche per questa volta.

Analogo approccio va riservato alle atlete del tiro. A Rio Diana Bacosi e Chiara Cainero si sono sfidate per l’oro e l’argento nella specialità dello skeet. Risultato eccezionale: “In finale c’era tutto l’accumulo di tensione e i sacrifici fatti fino ad adesso. Io e Chiara siamo amiche al di fuori anche del tiro. Ci rispettiamo moltissimo e ci vogliamo bene. Siamo due mamme, due mogli, due donne, due figlie sul podio. Cerchiamo di ricoprire tutti i ruoli al meglio. Non è la prima finale in cui affronto con Chiara. È stato molto difficile”. Per una vittoria speciale non poteva che esserci una dedica particolare. La mia dedica va a mio figlio Mattia. Non è facile lasciare il proprio figlio a casa. Adesso torno con un oro e vorrò stare con la mia famiglia e abbracciare mio figlio per condividere tempo con lui fino a quando non riprenderà la scuola”. Due storie diverse da quelle di Pellielo e Campriani, che dimostrano come sia possibile svolgere più ruoli così impegnativi, e credo su tutti quello di atleta e madre, e stare al vertice dello sport. C’insegnano che c’è un momento per tutto e che quando la motivazione e la dedizione per lo sport si alimentano con la stabilità del proprio ambiente familiare e la fiducia nell’eccellenza del programma di allenamento e del commissario tecnico (in questo caso rappresentato da Andrea Benelli un altro olimpionico dello skeet) si può lavorare per raggiungere risultati di livello assoluto.

Il tiro è anche uno sport per giovani. Già lo sapevamo dopo i successi di Jessica Rossi vincitrice a 17 anni del campionato del mondo  di fossa olimpica e a 20 anni dell’oro a Londra. Chi invece ha vinto l’oro a Rio è Gabriele Rossetti, 21 anni, nello skeet. E’ stato un campione annunciato, predestinato nel tiro a volo, che ha cominciato a praticare sul campo del papà all’età di 7 anni. Già perché suo padre Bruno Rossetti, oggi avversario perché commissario tecnico della Francia è ovviamente il suo principale tifoso: “Cerco sempre di fare al meglio il mio lavoro, ma è strano lavorare per far perdere tuo figlio. E la verità è che il mio cuore batterà sempre dalla sua parte, io non potrei mai gareggiare contro di lui”. Infatti, a Rio Gabriele ha eliminato proprio i due francesi allenati dal padre, Delaunay e Terras, e alla fine i due si abbracciano in modo veramente commovente.

Il tiro a volo racconta anche un’altra storia, tipicamente italiana, quella di un atleta che a Rio è riuscito a fare la gara della vita, nonostante sino a quel momento non avesse avuto una carriera sportiva veramente vincente. Marco Innocenti, 38 anni, a 5 anni prese per la prima volta in mano un fucile,  mai immaginando che avrebbe vissuto una giornata così fantastica. Invece dopo avere passato una vita tra le armi nell’azienda di famiglia, unico atleta del tiro a non essere arruolato nei gruppi sportivi militari, a Rio vince l’argento nel double trap. Non continuerà però la carriera sportiva e continuerà solo per diletto: “Ho dimostrato che con passione e tenacia si può arrivare molto in alto anche non facendo parte dei gruppi sportivi militari. Però ho problemi di tempo, visto che per vivere devo anche lavorare, e di approvvigionamento (cartucce). Quindi lascio e voglio stare più tempo con le mie due bambine”.

Umiltà e coraggio sono le due più grandi qualità di questi atleti. L’umiltà di sapere che l’alto livello richiede grandi sacrifici e un’applicazione costante e intensa e, inoltre, che negli sport di precisione l’errore può avvenire in qualsiasi momento e non è recuperabile, a meno che l’avversario non commetta lui stesso un errore. Quindi bisogna sapere reagirvi rapidamente per rifocalizzarsi sul colpo seguente. Coraggio, poiché ogni gara viene comunque affrontata con tensione e convinzione di avere fatto tutto il necessario e che nonostante lo stress agonistico e le momentanee insicurezze si è convinti di essere pronti per gestire quello che succederà in gara.

Queste donne e uomini meritano il nostro ringraziamento, perché ci dimostrano che l’importante non è essere gazzella o leone, ma serve muoversi, impegnarsi, avere obiettivi e volere raggiungerli. Abbiamo bisogno della loro motivazione per esercitare il nostro ottimismo verso il futuro.

SickKids VS. The Greatest Challenges in Child Health

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Obiettivi + impegno

 

Recensione libro: Soccer science

Soccer Science

Tony Strudwick (Editor)

Human Kinetics, 2016, p. 649

http://www.humankinetics.com/products/all-products/soccer-science

The book is very interesting for the reason that it provides to the reader a global and in the same specific vision of what soccer is today, played by 250 million of persons in more than 200 countries. It’s the world’s most popular sport. Goal of the book is to describe how to use the scientific principles to optimize the players’ performance and the preparation. All the chapters are relevant for soccer  but in my review I selected the chapters and the topics that could be more useful for the sport psychologists. The section 2 concerns the talent selection and the player development. In the Mujika and Castagna’s chapter, titled “Practical aspects of player selection and development”,  emerges very clearly that in soccer the relative effect age continues to be a resource to select the players, influencing the drop-out at the age of 12 years and not giving the consideration needed to the role of maturation in the player development. The authors conclude that the talent identification continues to be a critical point in soccer. The following chapter by Unnithan and Iga, titled “Development of the young soccer player”, treats the development of the young soccer players, it’s an updated presentation about the integration among growth, maturation, demands of match and the physiological components concerning the youth soccer players. From the side of sport psychologist also the contribute by Paul Ford, titled “Skill acquisition and learning through practice and other activities”, provides many useful and updated information. He reviews the perceptual-cognitive skills and the decision making processes involved in what in soccer is called “reading the game” and “affecting the game.” These two processes run in parallel and interact together. The chapter presents also the two categories of activities practiced during the training to improve these skills; the drill-type activities (focused on technique and skills) and the game-based activities (containing match-like situations). The author provides also information about the situation where the players use the fast thinking, so called intuition, compared to slow thinking, called reasoning.

In the world are produced each year 85 million balls and one chapter by Andy Garland and Henry Hanson has been published in this book: “Soccer ball dynamics.” Topics like the history of soccer ball development, material, design and construction, social responsibility, ball performances are presented. Other parts of the book regard the soccer biomechanical and physiological aspects and demands, the conditioning programs, the nutritional needs, the environmental  stressor, (altitude, temperature), soccer boots and playing surfaces.

The first chapter devoted to sport psychology is by Geir Jordet, titled “Psychology and elite soccer performance.” He identified 11 key skills showed by the players. They refer to self-determination, motivation, recovery processes and learning from mistakes. A second level of competences regards the players’ interpersonal skills and the ability to be adapted at the new contexts. A third level is composed by different conditions to cope with (adversity, pressure, success). The last emerging factors are the control game dynamics trough the anticipation processes, about what is going to happen in few seconds and the desire to innovatively provide, following the Anders Ericcson’s words, “a unique innovative contribution”. The second chapter of this part by Matt Pain, titled “Mental interventions”, is about the 5Cs mental of toughness regarding the assessment and the development of the following skills: commitment, communication, concentration, control, confidence. It’s the model used by Football Association in England to develop the youth’s psychological competences. The chapter provides case studies based on one-to-one work with players, coaching interventions and team practices to develop this mental approach. Its interest is in numerous practical situations proposed and developed to cope with these five mental skills. The third and last chapter is by Mark Nesti, titled “Performance mind-set.” The author identified four key topics as important for sport psychologists and coaches, they are: anxiety, identity, critical comments and life beyond the training ground. It must be noted that compared to the two contributes these chapter is more based around the authors’ professional experiences with several teams of the English Premier League. Nesti worked more in one-to-one situation with players and coaches than with team, for the concrete limitation to engaging in group works in professional teams. The author said that this approach was useful to meet better and in deep the needs of the players and the type of challenge they had to face. The last two parts of this book are related to the Tactics and strategies (four chapters) and Match performance and analysis (four chapters). It’s a very informative book useful for all are involved in soccer at different levels.

Killer instinct del tennista

Quante volte abbiamo visto buttare all’aria dei match point e poi perdere la partita? Troppe!

Quante volte si è visto tennisti giocare alla pari un set e poi perdere clamorosamente quello successivo magari a zero? Molte!

Quante volte dopo qualche errore si è visto tennisti perdere la testa e continuare con questa sequenza negativa fino alla fine del set? Molte!

Sono tutte situazioni in cui il tennista non si è servito del killer instinct, il risultato è che uno imponeva il suo gioco mentre l’altro con il suo atteggiamento negativo lo subiva.

Cos’è il killer instinct:

  • Volontà di fare ciò che è ragionevolmente necessario per vincere o per raggiungere il proprio obiettivo.
  • Consapevolezza di quando bisogna spingere per chiudere un game, un set o la partita e lo si fa.
  • Consapevolezza che quando si conduce non bisogna lasciarsi sfuggire l’occasione di continuare a farlo.
  • Consapevolezza che quando l’avversario è sotto, bisogna continuare a tenerlo sotto.
  • Volontà di volere riemergere con successo da una fase di gioco negativa.

Come svilupparlo:

  • Mai pensare che sarà facile vincere. Nessuno ci può garantire il risultato finale e tantomeno noi stessi.
  • Mai rilassarsi quando si sta conducendo una  partita, se la tensione cala datti degli obiettivi gioco per gioco, per mantenere elevata la concentrazione.
  • Quando si sta vincendo si può ridurre la tensione agonistica e questo è pericoloso. Usa immagini mentali che mantengano costante il livello di attivazione.
  • L’eccesso di fiducia può diventare una trappola che avvolge e favorisce l’emergere di distrazioni. Bisogna agire mentalmente per restare concentrati colpo su colpo, perché i conti si fanno solo al termine dell’ultimo colpo.
  • Mai pensare al risultato finale ma come detto stai centrato solo sul presente e sul giocare al meglio delle tue abilità.
  • Mantenere sempre elevata la pressione sull’avversario è una delle chiavi del successo. Lo scopo è di trasmettere al tuo avversario l’idea che qualsiasi cosa possa fare, lui resterà sempre sotto.
  • Mai affrettare l’azione nel cambio palla, devi avere sempre lo stesso tempo di preparazione sia che tu serva o che risponda.

Tennis: cosa fare quando vai sotto?

10 regole per gestire la pressione agonistica

Troppo spesso la pressione agonistica è la causa principale di prestazioni insoddisfacenti e di molto inferiori al proprio standard di allenamento. Come è possibile che ciò avvenga?
Accade perché l’atleta o la squadra non è in grado di gestire alcuni fattori principali di una gara. Sono i seguenti
  1. Incertezza – Lo sport è una tipica situazione d’incertezza in cui solo uno vince, bisogna sapere accettare questa condizione e viverla con determinazione.
  2. Aspettative – Maggiore è il livello di abilità, più elevate sono le aspettative, mentre invece durante una gara bisognerebbe accantonare per concentrarsi solo sul presente, dimenticando il futuro rappresentato dal risultato finale.
  3. Tempo – Ogni gara è scandita dal trascorrere del tempo, che deve essere gestito mantenendo il timing corretto per ogni azione senza rallentare per paura e senza accelerare per eccesso d’impazienza.
  4. Cambiamento – La gara è una situazione in cui i cambiamenti avvengono in modo continuo e spesso senza preavviso,  bisogna accettare gli errori e sapersi adattare in modo flessibile a ciò che accade.
  5. Visibilità – La gara è un confronto sociale pubblico, ognuno mostra se stesso nel gioco.
  6. Controllo – L’atleta deve sapere cosa può controllare e cosa dipende in misura minore dal suo comportamento. Certamente può controllare l’efficacia della sua azione sportiva, non può invece determinare il risultato che dipende invece dall’interazione con  l’avversario.
  7. Scelte – La gara è una situazione di scelta continua in relazione alla strategia di cui servirsi, il colpo da effettuare, la gestione dei propri comportamenti. Scegliere è un compito costante dell’atleta e a cui bisogna essere allenati.
  8. Competere – Lo sport non è un’attività estetica, consiste in un confronto continuo con gli avversari, il cui inizio e termine non è deciso dall’atleta. Bisogna essere disponibili a fornire prestazioni ottimali accettando queste condizioni e le sue regole che sono una garanzia di uguali opportunità di confronto.
  9. Se stessi – Atleta e squadra dovrebbero i principali sostenitori di se stessi, mentre sono spesso la causa dei propri problemi. Diventano impazienti, insicuri, mentalmente poco costruttivi, si paralizzano o diventano esageratamente impulsivi.
  10. Motivazione – E’ alla base di tutto. Le situazioni e gli altri possono fornire delle buone ragioni per impegnarsi al proprio meglio, ma nessuno può motivare un’altra persona. La motivazione nasce dalla convinzione che si migliora grazie al proprio impegno.

E’ la mente il pilota