Archivio mensile per ottobre, 2015

I fondamenti del killer instinct nel tennis

I fondamenti del killer instict

La regola del MAI

  1. Mai pensare che sarà facile vincere.
  2. Mai rilassarsi quando si sta vincendo una  partita.
  3. Mai abbattersi/arrabbiarsi dopo una serie di errori.
  4. Mai eccedere in fiducia.
  5. Mai pensare al risultato finale.
  6. Mai pensare che l’avversario fa solo vincenti.
  7. Mai affrettare l’azione nel cambio palla.
  8. Mai volere dimostrare di essere il più bravo.
  9. Mai smettere di correre.
  10. Mai s-parlarsi addosso.

Valentino Rossi cade nella trappola di Marquez

Intorno a Valentino Rossi nell’ultima settimana si sono create le premesse per quella tempesta perfetta che si poi scatenata in gara e che ha avuto il suo epilogo con la caduta di Marquez. Era prevedibile? Sì, lo era. Era evitabile? Forse. I contendenti sono  un gruppo di giovani adulti, professionisti, che hanno trasformato il loro amore per le moto e la velocità in un lavoro e per questo si sfidano a chi va più veloce in giro per il mondo, con il loro seguito di tecnici, manager, aziende, che lavorano per metterli nelle condizioni migliori per soddisfare i loro sogni di gloria. Questi giovani sono dei talenti disposti a correre qualsiasi rischio pur di vincere e le curve sono il luogo del duello. Valentino Rossi è il capobranco di questo gruppo di giovani avversari, gli altri vogliono prendere il suo posto, e per un po’ ci sono riusciti, poi lui è tornato ed eccolo ottenere l’altro anno il secondo posto e ora sino all’ultima corsa è in testa al mondiale. Solo uno dei migliori lo può sfidare, non certo Lorenzo che gareggia per vincerlo il mondiale, sarebbe troppo rischioso, allora si offre Marquez che è arrabbiato con lui perché l’ha tolto di mezzo nella corsa per la vittoria e così a Sepang si scontrano al ritmo di quindici sorpassi, nove solo in un giro. Difficile reagire con calma a queste provocazioni fini a se stesse di Marquez e Rossi è caduto nella trappola di accettare questa sfida, che poteva terminare solo se l’altro fosse caduto e questo è quello che è successo. Mike Webb, il direttore gara ha detto che dalle immagini “non è stato possibile stabilire se Rossi abbia colpito o meno Marquez con un calcio” e che Marquez ha sicuramente infastidito Rossi pur se nel limite del regolamento. Sta di fatto che Marquez ha voluto dimostrare che se lui voleva poteva fermare Rossi e quindi affermare la sua leadership sul circuito; “una ragazzata” se non fosse che in questo modo stava alterando il risultato della gara e del mondiale che in ogni caso lo vedeva sconfitto. In precedenza non aveva fatto nulla per impedire di essere sorpassato da Lorenzo, il diretto avversario di Rossi per il titolo mondiale. Marquez non aveva nulla da perdere a fare il bullo contro Rossi, alla peggio nel duello sarebbe caduto e sarebbe passato per vittima e Rossi il campione che non sa più vincere senza commettere scorrettezze. Non c’entra la ragione, è stato uno scontro di emozioni ad alta velocità. Valentino Rossi aveva comunque tutto da perdere nell’accettare questo duello, se cadeva era finita, se commetteva una scorrettezza pure, se stava dietro e aspettava con pazienza aveva una chance per raffreddare la sfida e continuare la lotta per il successo finale. Questo ragionamento è molto difficile farlo mentre si duella con il tuo avversario. Può essere programmato in precedenza. Se so che Marquez me la vuole fare pagare, devo preparare un piano del tipo: “E se succede che … cosa decido di fare?”.  Questo è quello che mi aspetto da un campione come Valentino Rossi, la pianificazione mentale delle situazione avverse che oggi, visto il contesto ad alto tassi emotivo che si è determinato, potrebbero accadere. In questo caso, avrebbe potuto chiedersi (o le persone del suo team avrebbero potuto consigliargli): “Se mi sento provocato cosa è ragionevole che faccia?”. Ognuno è libero di fare le proprie scelte, l’importante è non cadere nella trappola costruita dagli avversari e potere dire alla fine della gara di avere corso esattamente come si era previsto. Purtroppo questo non è avvenuto e ora Valentino Rossi dovrà decidere cosa fare, personalmente mi auguro che gareggi.

(Su: http://www.huffingtonpost.it/../../alberto-cei/caro-valentino-eri-mentalmente-impreparato-alla-trappola-di-marquez_b_8388120.html)

A fair play great story at Twickenham

This picture, credit of Getty Images, tells a great story of the battle of Twickenham.

Collegamento permanente dell'immagine integrata

Il successo dipende dalla preparazione

Nella preparazione a grandi eventi sportivi è decisivo arrivare al giorno d’inizio con la convinzione di essere pronti e che nulla potrà distogliere l’attenzione dalla prestazione che si dovrà compiere. Raggiungere questa condizione mentale è già un risultato importante per ogni atleta. Non vuol dire sentirsi calmi, ma comporta invece la convinzione di avere fatto tutto quello che serviva per raggiungere quell’appuntamento nel modo migliore. E’ come dire: “Sono preparato per esprimermi al meglio in questa competizione, lo so fare”.

La preparazione finisce in quel momento, il passo seguente è farlo. A questo punto emergono con decisione le ansie e le paure che l’atleta deve sapere gestire ma che comunque trovano un limite proprio nella convinzione di sentirsi pronti.

Fra poco più di 10 mesi vi saranno le olimpiadi e le paralimpiadi, i migliori atleti sono impegnati nelle qualificazioni e per tutti sarà importante giungere a quei giorni sentendosi preparati al meglio. Il lavoro dello psicologo dello sport sarà per loro molto importante nel costruire questo tipo di mentalità.

Il successo dipende dalla preparazione precedente e senza tale preparazione è sicuro il fallimento. (Confucio)

 

 

Di nuovo nella città dei campioni Keniani della corsa

La foto è relativa a uno dei 5,000m ai campionati della città di Iten in Kenya dove si allena la maggior parte dei campioni keniani. Circa 75 corridori sono arrivati a disputare la gara, così gli organizzatori hanno detto (scherzando solo a metà), che la prima manche era per coloro che sotto i 13 minuti. Che è veloce. (The Guardian)

 

Nel tennis si può imparare la mentalità vincente?

Molti nel tennis parlano di cosa sia la mentalità vincente. Alcuni la confondono con gli attributi maschili mentre altri la considerano come l’espressione di una fiducia estrema in se stessi, altri ancora pensano che sia questione di carattere e quindi la responsabilità del suo affermarsi dipenderebbe da un fattore innato e non allenabile, infine c’è anche chi ritiene che una bassa condizione sociale determini quella volontà di affermazione che mostrano i campioni, la famosa “fame di vincere”. Queste spiegazioni servono a costruire un’idea rigida e magica della mentalità vincente e pone il tennista in un condizione di subire le sue origini, che se non corrispondono a quelle sopradette non potrà mai emergere come vincente.

Sulla base della mia esperienza con tanti atleti di successo, di cui 10 vincitori di medaglie alle Olimpiadi e di quanto documentato dalla psicologia dello sport in relazione ai top atleti la questione è molto diversa e più articolata. In questo breve articolo voglio fornire alcune indicazioni pratiche che ogni tennista potrebbe impegnarsi a seguire con la certezza di migliorare le sue prestazioni, che ovviamente saranno adeguate al suo livello tecnico, forma fisica e tipo di gioco.

Non avere aspettative, impegnati a fare del tuo meglio – Ogni giocatore vuole vincere la partita che andrà a giocare, ma bisogna mettere nel punto più lontano della mente questa idea e pensare solo a giocare. Nessuno può sapere cosa succederà, mentre tutti possono concentrarsi sul presente, sul servizio e sulla risposta. Nelle mani del tennista vi è la possibilità di impegnarsi al proprio massimo ma non quella di vincere un punto, quindi il focus deve essere solo sul proprio gioco … e poi alla fine dello scambio vedere se il proprio massimo è stato sufficiente o se l’avversario è stato più bravo.

Sii paziente, i momenti negativi stanno arrivando – Il tennis è un gioco in cui vince chi fa meno errori del proprio avversario, lo scopo non è non sbagliare ma sbagliare meno frequentemente dell’altro. I momenti negativi ci sono in ogni set e non si deve avere la presunzione di credere che non arriverà quel momento. Bisogna accettare questo limite e quando si presenta non bisogna arrabbiarsi o deprimersi ma mostrare pazienza e continuare a giocare in modo attento.

Non lasciare che il punteggio determini le tue emozioni – I giocatori poco esperti e molti adolescenti si entusiasmano quando giocano bene e perdono il controllo emotivo quando perdono i punti. Sono tennisti che in campo dimostrano poca stabilità nei loro comportamenti. In tal modo, è il loro stato d’animo che determina come giocano. Spesso dico a queste persone che dovrebbero  essere il primo tifoso di loro stessi, mentre invece si comportano come quei tifosi che applaudono la loro squadra quando vince e la fischiano quando perde.

Gestisci lo stress agonistico e accetta le tue paure – Molti ragazzi hanno così paura delle loro paure che preferiscono credere che: “oggi non sentivo i colpi”, “ero rigido, le gambe legnose”, “l’altro ha fatto la partita della vita”. Le ragazze invece sono spesso emotivamente più ondeggianti e si caricano o scaricano in funzione dei punti vinti o persi. Bisogna avere il coraggio di accettare le proprie paure e imparare a gestirle, questa è una delle grandi differenze fra i campioni e gli altri.

Pensare al gioco – Quale che sia il proprio livello tecnico, il tennista deve pensare a come vuole giocare. Può essere anche un semplice “corri e buttala di là” ma non può non pensare. Questo approccio è particolarmente evidente nel servizio: “in che modo metto in difficoltà la mia avversaria?” “Cosa ho fatto quando vinco i punti”. Vi sono pensieri tecnici e pensieri che aiutano a sostenere la motivazione e un approccio attivo al game.  Servono tutte e due.

Perché formarsi in Psicologia dello Sport

Le domande più frequenti che mi sono state poste in questo periodo dagli psicologi che mi hanno contattato per avere informazioni sul Master di II Livello che stiamo organizzando con l’Università Telematica San Raffaele.

  • Sono psicoterapeuta cosa imparo da una formazione in Psicologia dello Sport?
  • Da anni lavoro come psicologo professionista, perché dovrei frequentare un master in Psicologia dello Sport?
  • Sono psicologo, mi piace lo sport ma so che è difficile trovare un lavoro come psicologo dello sport cosa devo fare?
  • Sono psicologo e atleta/allenatore cosa imparo dalla Psicologia dello Sport che già non so?
  • Con questa crisi economica dove trovo lavoro come psicologo dello sport? E quindi perché formarmi?
In Italia vi sono circa 600.000 allenatori, 7.000 scuole calcio, 250 psicologi lavorano nelle Scuole Calcio, solo nel Lazio vi sono 700 Scuole calcio (5-12 anni) e in ogni Regione vi è uno psicologo referente della FIGC- Settore Giovanile Scolastico.
  1. Almeno nel calcio, lo sport più diffuso, il bacino dei possibili clienti degli psicologi dello sport è molto numeroso. Le società sportive sono imprese piccole e medie imprese, che gestiscono centinaia di bambini, almeno una decina di allenatori e un numero molto ampio di genitori. Questi numeri le rendono particolarmente sensibili al lavoro dello psicologo dello sport nel lavoro con i bambini, gli allenatori e le famiglie.
  2. Per sua formazione lo psicologo e lo psicoterapeuta non hanno nessuna cognizione teorica e pratica sullo sviluppo del movimento e sull’apprendimento motorio nonché sui principi della metodologia dell’allenamento. Sono invece temi importanti per essere in grado di parlare il linguaggio dello sport con persone che sono esperte in questo ambito.
  3. Lo psicologo e lo psicoterapeuta non hanno una formazione in Psicologia dello Sport (PS) e in linea di massima ignorano anche la Psicologia della Prestazione e la ricerca del talento. Non per colpa loro ma perché queste tematiche non sono insegnate durante il corso di studi. Dico sempre ai giovani: “Se non sai citare almeno 10 psicologi dello sport e parlare delle loro ricerche, vuol dire che tu non lo sei”.
  4. E’ un’area di ricerca e professionale specifica le cui conoscenze e pratiche non possono venire tradotte dalla psicoterapia, dalla psicologia del lavoro o dalla psicologia della salute. Certamente la PS si serve di strategie e tecniche tratte da questi ambiti ma ne ha elaborate di proprie che richiedono studio e applicazione da parte dello psicologo professionista (ad esempio, l’allenamento dell’attenzione).  A tale riguardo ricordo che esistono 6 riviste scientifiche dedicate alla PS.
  5. Svolgere già da tempo il lavoro di psicologo dello sport senza avere avuto una formazione in questo ambito, riflette le buone capacità di avere saputo adattare le proprie competenze a un ambito diverso da quello previsto e direi che a questo punto una formazione in PS consentirebbe di continuare in modo specifico la formazione continuativa a cui dovrebbe aprirsi qualsiasi professionista.
  6. La crisi economica non dovrebbe essere un limite imprescindibile, poiché la formazione post-laurea è oggi una necessità imprescindibile per chi aspiri a diventare un professionista competente. Certamente è poco realistico pensare di sentirsi a proprio agio e fiduciosi nel proporsi a società sportive, federazioni o singoli atleti senza avere avuto una formazione adeguata. So che “molti colleghi provano” a fare questo lavoro senza essersi formati in PS, potrebbero impiegare i loro primi guadagni in un Master di PS.
  7. Infine, voglio dire che la formazione deve essere continua, perché è una necessità. Come svolgevo la mia attività 10 anni fa e sostanzialmente diverso da come la svolgo oggi e questo non solo a causa della diversità delle esigenze fra i clienti di oggi e quelli di ieri ma anche per lo sviluppo delle nuove tecnologie, delle conoscenze e delle modalità di sviluppo della consulenza che sono cambiate in tutto il mondo e che non possono essere ignorate.

 

Nessuno sa quanti giovani con problemi di disabilità sono motoriamente attivi

Gli alunni con disabilità nel sistema scolastico italiano sono complessivamente 216.013, pari al 2,4% dell’intera popolazione (prossima a 9 milioni di alunni).

  • scuola dell’infanzia  rappresentano l’1,2% (in media 1 alunno con disabilità ogni 80 alunni)
  • scuola primaria  sono il 2,9%
  • scuola secondaria di I grado sono il 3,5%
  • scuola secondaria di II grado sono il 1,9%
Quanti giovani conducono uno stile di vita fisicamente attivo
NESSSUNO LO SA!!!
“Di rilievo (fra le società no-profit)  l’attività orientata a persone con specifici disagi. Sono 6.816 (pari al 13,6% del totale di istituzioni non profit che erogano servizi a persone con disagio) le istituzioni sportive che nel corso del 2011 hanno erogato servizi a particolari categorie di soggetti svantaggiati. Il 72,5% di esse si rivolge, in particolare, a individui disabili o non autosufficienti. Nella maggior parte dei casi i servizi riguardano l’organizzazione di corsi per la pratica sportiva (84%) e/o di eventi sportivi (69,7%); l’8,8% delle istituzioni considerate ha realizzato interventi per l’integrazione sociale dei soggetti deboli o a rischio; l’8,2% si è occupato della gestione di centri aggregativi e di socializzazione e il 7,9% ha organizzato viaggi ed escursioni”. (Istat)
Un paese che non si conosce non può aiutarsi

Camminare o correre per 15 minuti ogni giorno migliora la vita dei bambini

Facciamo così poco per promuovere il movimento fra i bambini che notizie come queste fanno subito il giro del mondo e colpiscono per la facilità con cui si potrebbe fare molto di più con poco.

Nel momento in cui nella scuola di Stirling, Scozia, si sente dire “Miglio del giorno”, i bambini posano la penna,  escono dalla classe e corrono intorno all’edificio scolastico.   Da tre anni tutti gli allievi hanno percorso, al passo o di corsa un miglio al giorno. Svolgono questa attività non sempre nello stesso momento, in modo felice e, a dispetto della crescita dell’obesità in Gran Bretagna, nessuno in questa scuola è sovrappeso.

Il miglio quotidiano ha migliorato la forma fisica dei ragazzi, il loro comportamento e la concentrazione durante le lezioni; questa attività, camminare o correre per 15 minuti, si sta diffondendo in molte altre scuole del paese.

(The Guardian)

 

Il coraggio di fallire per avere l’opportunità di vincere

Il coraggio è un atto in cui si rischia la vita e l’incolumità fisica per sostenere una virtù. Come ha detto Martin Luther King : “Se un uomo non ha scoperto qualcosa per cui  vale la pena morire, vuol dire che non è in grado di vivere”.

In relazione allo sport o a qualsiasi prestazione umana, anche se non sono in gioco la propria sopravvivenza o incolumità fisica, avere coraggio significa essere disposti a fallire pur impegnandosi al meglio di se stessi.

Tu come sei?

The Martian movie quote