Archivio mensile per settembre, 2014

Lo sport eretico

Lo sport eretico riguarda quel tipo di prestazioni che non vedremo mai alle olimpiadi ma che richiedono un analogo livello di ratabilità e di dedizione da parte di chi le pratica. Guarda questo video.

Lo sport: premio o punizione?

E’ inziata la scuola e molti genitori preoccupati del rendimento scolastico spesso tagliano lo sport. Il calcio è uno di questi. Allenamenti che saltano e pratica sportiva abbandonata, se il rendimento scolastico non va. L’attività fisica è considerata un premio e quindi, per abitudine educativa, utilizzata di contro come punizione.

“Mens sana in corpore sano” contiene in sé una profonda verità che diviene ancor più realistica se associata all’infanzia e all’adolescenza. Abituare il proprio figlio ad un’adeguata gestione tra scuola e sport è la strategia educativa vincente che punta sul senso di responsabilità, stimolando le capacità organizzative del bambino e del ragazzo. Il desiderio di essere puntuale al proprio allenamento stimola ad organizzarsi, a tirare fuori le proprie capacità gestionali. È importante per i genitori imparare ad utilizzare i desideri dei bambini e dei ragazzi come stimolo e non come fonte punizione,  questo al fine di ottenere risultati duraturi e non semplicemente associati al momento punitivo.

La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità  nel  “Global Recommendations on Physical Activity “ definisce per ogni fascia di età l’attività fisica consigliata. Tra i 5 e i 17 anni raccomanda: “almeno 60 minuti al giorno di attività moderata–vigorosa, includendo almeno 3 volte alla settimana esercizi per la forza che possono consistere in giochi di movimento o attività sportive”.

Questo interesse per l’attività fisica  durante l’infanzia e l’adolescenza conferma l’importanza dello sport  per la crescita fisica e psicologica delle nuove generazioni. Il primo passo da fare è imparare a non considerare lo sport come un capriccio del bambino, da utilizzare come premio e punizione, ma un aspetto fondamentale che va integrato nel percorso educativo del proprio figlio.

(di Daniela Sepio)

Coraggio e umiltà

L’allenatore degli All Blacks ha detto recentemente in una conferenza che la mentalità guerriera dei suoi giocatori si basa sull’equilibrio fra coraggio e umiltà: essere capaci di fare cose straordinarie ma sapere anche recuperare rapidamente dagli errori, sapersi risollevare rapidamente e vincere.

Questa capacità distingue i campioni dagli altri bravi atleti: Ne sono un esempio:

Roger Federer  che cambia gioco per continuare a restare al suo livello compensando le difficoltà fisiche con un aumento dell’efficacia del servizio e con più frequenti discese a rete. Cambiare per limitare i limiti e continuare a vincere.

Valentino Rossi è ritornato a vincere un MotoGP dopo molto tempo, stabilendo il record di più anziano vincitore, non ha rinunciato a questa opportunità e alla fine ci è riuscito.

Tiger Woods da 60° del ranking mondiale anzichè ritirarsi, in tre anni è ritornato a essere n.1

Giovanni Pellielo ha perso le olimpiadi di Londra ma l’anno successivo ha vinto il campionato del mondo ed è già qualificato per quelle di Rio

Imparate da loro, non basta il talento ci vuole coraggio e umiltà.

Il mondo è grasso

The World is Fat

Credit: George Retseck; Source: Barry M. Popkin University of North Carolina at Chapel Hill, USA.

Sovrappeso e obesità riguardavano nel 2008 1,5 miliardi di adulti. Si ritiene ora che nel si avranno 2.16 miliardi di adulti sovrappeso e 1.12 miliardi di obesi.

Il discorso HeForShe di Emma Watson

Emma Watson ONU Igualdad de Género

“Se smettiamo di definirci per quello che non siamo e iniziamo a definirci per ciò che siamo, tutti possiamo essere liberi, questo è il significato di HeForShe. Parla di libertà”.

 

Il masochismo delle squadre di calcio

In qualsiasi azienda che voglia essere competitiva la selezione del personale è uno degli elementi essenziali che il management deve progettare e realizzare in modo accurato e competente. La selezione delle persone giuste da inserire nei posti giusti è una delle chiavi del successo di ogni azienda. Phil Jackson, allenatore di 9 campionati NBA, ha sempre sostenuto che la differenza tra una buona squadra e una grande squadra sta nella tenacia e nella voglia di vincere di ogni giocatore. Questo per qualsiasi team nel business come nello sport. A questo approccio vi è però un’eccezione tutta italiana portata avanti dalla più parte delle squadre professionistiche di calcio. Infatti, in questi anni i calciatori che vengono scelti dalle società sono spesso giocatori che non sono in grado di rappresentare in campo un valore aggiunto. Inoltre sono stranieri (84 nuovi solo in questa nuova stagione) che limitano l’accesso in squadra ai giovani calciatori italiani.  Il danno che si viene a creare è molto grave. S’impedisce di fatto ai giovani italiani di giocare, si rende inutile l’attività giovanile poiché i migliori non troveranno squadre disposte a inserirli nell’organico, si spendono inutilmente soldi per giocatori stranieri che non sono di valore, la squadra perde ulteriore valore perché non può contare su giocatori tenaci e che vogliono vincere. Non vi sono spiegazioni che permettono di comprendere questo fenomeno così auto-lesionista per i club. Non so se questa serva a coprire attività finanziarie che consentono l’evasione fiscale. Certamente la professionalità dei dirigenti di calcio esce sconfitta da questo approccio e dato che questa pratica è così diffusa evidentemente non preoccupa anzi ne esce rinforzata.

L’adolescente in campo: una sfida per l’allenatore

Quando gli allenatori si trovano alle prese con atleti adolescenti la loro capacità relazionale viene spesso messa a dura prova. La soluzione più frequentemente adottata è “fare l’amico”. In realtà anche quando le età cambiano e ci si sente quasi in dovere di cambiare livello relazionale,  la vera sfida è mantenere il proprio ruolo. L’allenatore-amico non serve, il tecnico deve invece applicare alcune regole, utili anche ai genitori,  che gli permetteranno di  aprire  la comunicazione con l’adolescente:

  • Stimolare la partecipazione attiva per facilitare i processi di attenzione e memorizzazione: fare esempi
  • Capire i bisogni di chi ascolta. La motivazione all’ascolto è fondamentale. quali messaggi lo catturano di più?
  • Ricercare i feedback. Non può esservi comunicazione senza scambio: il feedback è dunque uno step essenziale di questo processo.
  • Creare vicinanza: camminare tra  loro
  • Seguire i loro ritmi. Hanno l’abitudine a confrontarsi con messaggi che hanno le seguenti caratteristiche: velocità, movimento, colori, suoni, interattività. Messaggi che non presentino alcune di queste caratteristiche riducono l’attenzione e la motivazione all’ascolto.
  •  Usare il loro gergo
  • Utilizzare canali diversi (visivo, uditivo, cinestesico)
  • Essere concreti evitando l’eccesso di informazioni

Parallelamente esistono degli atteggiamenti che, al contrario,  sono in grado di interrompere qualsiasi possibilità di comunicazione con l’adolescente:

  • L’eccesso di informazioni
  • Dare giudizi e valutazioni negative senza indicare la strada per il cambiamento
  • Avere un atteggiamento di superiorità: “sono più grande e so come vanno le cose”
  • Mantenere una distanza fisica e psicologica
  • Tendere alla manipolazione e al controllo

Comunicare con i giovani è veramente una sfida. Rimaniamo spesso spiazzati di fronte alle loro domande, o ai loro silenzi. Hanno la capacità di smuovere molti vissuti profondi che vanno riconosciuti ed elaborati  per poter proseguire al meglio nel proprio ruolo di formatore.

(di Daniela Sepio)

Impegnarsi molto deve essere uno stile di vita

Alcuni atleti hanno reagito al blog che ho scritto sulla necessità di essere il primo tifoso di noi stessi, dicendo che è veramente difficile esserlo, poiché gli errori e le prestazioni negative mettono troppo duramente alla prova questa convinzione. Sono d’accordo e infatti considero la fiducia in se stessi un punto di arrivo di un processo di maturazione psicologica e non certo il punto di partenza. Ciò non toglie che bisogna fare di tutto per fare propria questa convinzione, senza la quale non è possibile sostenere il proprio impegno sportivo, scolastico o professionale. Chi vuole eccellere deve essere preparato a sostenere in modo convinto il proprio impegno attraverso qualsiasi tipo di difficoltà. In tal senso si può dire che impegnarsi molto deve essere uno stile di vita, non qualcosa da manifestare solo quando tutto va bene. Anzi bisogna sapere che bisogna essere preparati a dedicare più ore di quelle che all’inizio si erano programmate.

Quanto è difficile essere tifosi di se stessi

Ma quanto è difficile essere il primo tifoso di se stessi! Un atleta dovrebbe mostrare questa convinzione nei propri confronti e invece è una delle cose più difficili da fare. Alcuni esempi:

  • Una ragazza mi dice “Ho fatto quattro gare quest’anno e nessuna è andata bene … allora smetto non serve nulla che continui a fare bene solo in allenamento”.
  • Un ragazzo mi dice “stavo gareggiando bene poi ho pensato che non potevo continuare in questo modo e così ho sbagliato e non sono entrato in finale”.
  • Un altro ragazzo ai campionati del mondo prima della finale “Questa volta devo prendere una medaglia”. E’ arrivato quarto.
  • Una ragazza “questa volta ho perso male non ho creduto fino in fondo in me stessa”.

Ognuno di loro svolge l’attività di atleta in modo professionale, è la loro attività principale, è quella in cui vogliono realizzarsi nella vita. In queste occasioni non si sono dimostrati i migliori tifosi di se stessi.  Lo sport agonistico richiede un elevato livello di fiducia in se stessi e l’incoscienza di sapere che la prossima volta andrà meglio di questa. Questa consapevolezza nasce dall’impegno profuso in allenamento, dal sapere che è vero che 1, 2, 3 0 più volte non andrà bene, ma non importa perché continuando in questo modo verranno anche i risultati. L’importante è continuare a sostenersi soprattutto quando le cose vanno male. In sintesi serve:

  • impegno totale in allenamento
  • sostegno totale in gara indipendentemente dai risultati
  • aspettativa fiduciosa dei risultati

In campo insieme: allenatore e psicologo

Alcune scuole calcio hanno già inaugurato il loro anno sportivo e altre lo faranno in questa settimana. Mi auguro che sempre più società abbiano accolto nel loro staff uno psicologo dello sport, apprezzando il valore aggiunto fornito da un professionista preparato a lavorare nello sport.

Ascoltando alcuni colleghi scopro che spesso ad ostacolare l’entrata di uno psicologo nello staff sono gli allenatori, preoccupati di perdere il ruolo centrale della loro figura, ma altrettanto spesso accade che gli allenatori pur avendo in società uno psicologo, non sanno cosa possono chiedere e come farsi autare.

Ho sempre creduto nell’integrazione delle diverse figure professionali all’interno di ogni situazione sportiva ed in particolare nella scuola calcio. Qui si intrecciano tanti aspetti differenti che coinvolgono la crescita tecnica, ma anche fisica e psicologica del bambino e per questo motivo l’integrazione di competenze diventa imprescindibile.

Ho chiesto ad un esperto di calcio con il quale collaboro da anni in tema di calcio giovanile, di scrivere una lista di quanto mi ha chiesto e di quelle ciò che, con la sua esperienza di lavoro integrato tecnico-psicologo, può suggerire di  chiedere. La pubblico per condividere con psicologi e allenatori  il punto di vista di un allenatore che ha imparato a sfruttare al massimo l’opportunità data dal lavoro di squadra.

Cosa chiede l’allenatore allo psicologo

  • Come facilitare la comprensione
  • Come avere maggiore attenzione
  • Come gestire comportamenti scorretti
  • Come gestire i conflitti nel gruppo
  • Come motivare
  • Come dare modelli adeguati
  • Come comportarsi: di fronte a comportamenti scorretti o inadeguati; nei confronti di altre società
  • Come rinforzare/gratificare adeguatamente
  • Che metodo didattico utilizzare e come metterlo in pratica
  • Come correggere senza punire

(di Daniela Sepio)