Archivio mensile per agosto, 2013

20.000 ore per mappare una minima parte del cervello del topo

“Gli scienziati hanno mappato le dense interconnessioni e l’attività neuronale del topo e il network visivo. Il team di ricerca, il cui lavoro è stato pubblicato su Nature1–3, ha anche creato un modello tridimensionale (3D) come si può vedere nel video.

I tre studi hanno indagato sulla parte del sistema nervoso cenrale dell’occhio. In uno, Moritz Helmstaedter, neurobiologo al Max Planck Institute of Neurobiology a Martinsried, Germania, e i suoi collaboratori hanno creato una mappa completa in 3D di una sezione di 950 cellule della retina del topo, includendo le interconnessioni fra le cellule neuronali. A tale scopo si è servito di una squadra di più di, che ha lavorato collettivamente per 20.000 ore per trattare tutte le immagini1.

Guarda il video su: Nature

Quando è motivante un dialogo negativo con se stessi

A 35 anni Tommy Haas è il più vecchio tennista del US Open. Come riesce un giocatore di questa età a mantenere un approccio mentale efficace tanto da essere ancora 13 al mondo? Un video del 2007 durante i quarti di finale all’Australian Open, ci apre una finestra sui suoi pensieri in un momento di difficoltà. Infatti il video mostra il dialogo con se stesso di Tommy Haas   durante una pausa di gioco, Dialogo prevalentemente negativo e offensivo verso se stesso ma che contiene qualche affermazione positiva quasi esclusivamente centrata sul risultato da ottenere  (non andare a rete, puoi vincere, vincerai la partita, non puoi perderla, lotta). In questo caso, il sistema che Haas ha usato con se stesso è stato utile poichè vinse quella partita. Spesso noi psicologi dello sport sottolineiamo l’importanza di avere un dialogo positivo con se stessi, centrato non sul risultato da ottenere ma sulle azioni da svolgere. Nonostante sia importante insegnare questo approccio positivo ai giovani,  nel mio lavoro ho incontrato molte situazioni in cui il dialogo negativo è servito da spinta motivazionale a fornire la prestazione migliore di cui si era capaci. Ho incontrato atleti che nella pausa tra diverse prove passavano lunghi minuti a insultarsi come Haas e poi a un certo punto chiedevano “Dimmi qualcosa di positivo” e alcune volte ho parlato dei sacrifici che avevavno fatto per arrivare a quel punto e altre volte degli ostacoli e delle gare che avevano vinto per essere lì, a quel punto cambiavano atteggiamento e dicevano “Adesso vado e lo faccio” piuttosto che “Ok darò il massimo”.  Quasi sempre sono stati di parola.

 

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Le regole non scritte dell’arbitraggio

Il lavoro arbitrale è sottoposto ad alcune regole non scritte del mondo del calcio che tendono a mantenere sempre a un livello critico la percezione che i tifosi e il più ampio pubblico manifestano nei confronti di questa attività: Queste regole sono le seguenti:

  • Sino dall’antichità, lo sport è stato un fenomeno sociale in cui vi è sempre stata una simbiosi fra prestazione atletica e spettatori,  e va ricordato che i primi eventi di cui si ha conoscenza risalgono al 5.220a.c. Significa che gli spettatori hanno da sempre parteggiato per gli atleti che gareggiavano dividendosi per fazioni.
  • Il calcio è una versione ritualizzata della caccia, dove i giocatori sono i cacciatori, l’arma è la palla, la preda è la porta e l’arbitro è il giudice tribale su cui nessuno può interferire quando prende una decisione.
  • La decisione di un arbitro a favore di una squadra è contro gli interessi dell’altra. Ogni volta che l’arbitro comunica una decisione, metà dei giocatori, l’allenatore e gli spettatori  provano una qualche forma di disappunto. Questa è a ogni livello la natura del calcio agonistico.
  • Le reazioni dei calciatori all’assegnazione di una decisione per loro negativa sono significativamente influenzate dallo stile di comunicazione che l’arbitro mostra in quella situazione
  • La percezione di correttezza dell’agire arbitrale da parte del pubblico e dei calciatori è estremamente importante, però nel calcio questo tipo di percezione è altrettanto fortemente influenzata dalle aspettative nei confronti dell’arbitro, ad esempio sapere che è un arbitro che non dà mai un rigore contro la squadra di casa negli ultimi cinque minuti della partita.
  • La percezione di correttezza dell’arbitro dipende da come i calciatori ne valutano il livello di competenza, l’indipendenza di giudizio  e il rispetto verso le squadre.

Gli errori degli arbitri

Inizia una nuova stagione agonistica, nel calcio come per gli altri sport di squadra, e gli arbitri svolgono un ruolo indispensabile per il corretto svolgimento del campionato. Ai direttori di gara non piace sentirsi dire che possono commettere errori per eccesso di arroganza personale e per eccesso di subordinazione nei confronti di squadre e giocatori. Non sto a parlare di incompetenza tecnica, perchè in questo caso lo sbaglio non è tanto dell’arbitro che mostra questa difficoltà, quanto piuttosto di chi lo ha designato per quella partita. Al contrario, anche l’arbitro internazionale più esperto può commettere errori dovuti a un eccesso di volontà d’imporsi o viceversa dovuti a una cautela eccessiva nei riguardi della squadra di casa, di quella più famosa o dei giocatori più importanti. Errori di presunzione o di soggezione nei confronti degli avversari si manifestano anche nelle squadre di alto livello, fanno parte di quei comportamenti in cui chiunque può cadere quando la tensione agonistica è molto intensa. La classe arbitrale e i suoi dirigenti non dovrebbero quindi negare errori di questo tipo, perchè possono manifestarsi anche nelle persone più competenti. Al contrario gli arbitri dovrebbero essere allenati a riconoscere quando questi atteggiamenti iniziano a manifestarsi nei loro comportamenti sul campo, così da correggerli immediatamente. Una regola che vorrei trasmettere agli arbitri è quella di non negare mai a se stessi un momento di difficoltà ma invece di riconoscerlo il prima possibile e cambiare il proprio comportamento in modo positivo.

Si può diventare professionisti nel golf iniziando a 30 anni?

A che punto è la sfida di Dan McLaughlin? Non avendo mai giocato a golf, nell’aprile del 2010 Laughlin ha abbandonato il suo lavoro di fotografo per perseguire l’obiettivo di diventare professionista del golf, per mezzo di 10.000 ore di pratica. Durante i primi 18 mesi il miglioramento è stato lento e Mclaughling ha allenato singolarmente i colpi. In seguito, ha iniziato a giocare e la qualità del suo gioco è rapidamente migliorata. In 28 mesi ha così superato il 91% dei golfisti americani (26 milioni) che posseggono un handicap. Non c’è da stupirsi se ora il suo miglioramento è rallentato dato che deve confrontarsi in competizioni con un livello di handicap proprio solo del 10% di golfisti amatori (5,8). Dopo tre anni di allenamento McLaughlin è a metà del suo viaggio, ha giocato infatti 5.500 ore e ne ha altrettante da giocare per soddisfare la regola delle 10.000 ore, formulata dallo psicologo Anders Ericcson per raggiungere l’eccellenza. Il suo obiettivo è diventare un golfista. Questa scelta è molto interessante e per ora unica nel mondo dello sport; poichè è la prima volta che un individuo singolo, con nessuna precedente esperienza sportiva come atleta, non giovane ma adulto, cerca di dimostrare che l’eccellenza può essere raggiunta solo attraverso un impegno persistente nel tempo.

 

Quando vengono segnati i goal decisivi?

Dai risultati di una ricerca che ho condotto su tre campionati di Serie A è emerso che l’ultima mezz’ora di gioco non è solo il periodo in cui vengono segnate più reti (68% del totale) ma è anche la fase in cui  il 44,2% dei goal sono decisivi per il risultato finale.  Mentre, solo 16,3% dei goal decisivi sono effettuati nel primo tempo.

In questa prima giornata di campionato (in attesa ancora della partita di oggi) questo dato è solo parzialmente confermato. Infatti su 19 segnate, 7 reti sono nel periodo tra i minuti 61 e 75 e solo 1 nell’ultimo quarto d’ora. Al momento questi dati fotografano solo quanto è successo nella prima giornata ma nel corso del campionato andranno presi in considerazione, per capire se vi è un cambiamento nelle squadre in termini di mentalità e preparazione fisica per ridurre la percentuale di goal decisivi  messi a segno nelle fasi finali delle partite, goal che con l’avvicinarsi della fine della partita e la stanchezza fisica e mentale sono più difficili da recuperare.

17 classici momenti dell’ US Open

The Daily Beast

Siamo sempre in tempo per uno stile di vita attivo

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Inizia il campionato di calcio: vince chi gestisce meglio le emozioni

Inizia una nuova stagione di calcio, quest’anno ancora più importante perché si concluderà con la coppa del mondo in Brasile. Vi è quindi un’ulteriore ragione per i calciatori a voler giocare al proprio meglio, con l’obiettivo di rientrare tra i 22 convocati per il mondiale sudamericano. In ogni caso, ciascuna squadra avrà la sua meta da raggiungere: per qualcuna sarà non retrocedere, per altre entrare in zona UEFA o confermare il risultato della stagione  precedente,  per altre ancora sarà vincere il campionato o entrare in Champions League. Al di là del livello tecnico-tattico posseduto, ogni squadra potrà mostrare il proprio valore solo se i giocatori in campo, la panchina, l’allenatore e il presidente dimostreranno un livello elevato di controllo emotivo. La gestione dello stress agonistico riguarderà tutti, nessuno  escluso.  Siamo stati spesso campioni di stress. Abbiamo il record di allenatori licenziati durante il campionato da presidenti  che non sanno contenere le proprie paure o il proprio narcisismo ferito anche da pochi risultati negativi. Siamo anche un campionato in cui si commettono troppi falli e non è vero che i calciatori non saprebbero evitarli, perché quando giocano a livello europeo ne commettono molti di meno. In Italia si sentono più liberi di non rispettare le regole, protetti da tifosi, presidenti e allenatori sempre pronti ad attribuire la colpa agli arbitri, a una congiura contro la loro squadra o al non avere capito che il calcio prevede il contrasto fisico. Gli allenatori sapendo che metà di loro durante il campionato sarà esonerato dall’incarico rischiano di vivere in modo drammatico i risultati negativi della loro squadra,  per molti si tratta di un lavoro a termine, certamente molto ben remunerato, ma rischioso come salire un ottomila di cui si conosce il numero di vittime che miete ogni anno. Nonostante queste incertezze è però assolutamente necessario che i protagonisti del calcio sappiano mantenere il sangue freddo, ricordando a se stessi gli obiettivi della squadra e come raggiungerli. Autocontrollo, gestione efficace dello stress, aggressività leale e rispettosa dell’avversario devono essere alla base dei comportamenti sul campo; in altre parole vuol dire sapere gestire le proprie emozioni in un contesto, la partita, che è invece una situazione altamente emotiva. Quindi le squadre devono vivere per 90 minuti questa condizione mentale mostrandosi capaci di gestirla con efficacia. Questa è a mio parere la sfida che ogni squadra  deve prepararsi ad affrontare e vincere ogni giornata del campionato, oltre al risultato finale dell’incontro.

Leggilo su:  http://www.huffingtonpost.it/../../alberto-cei/al-via-la-serie-a-una-sfida-alle-emozioni_b_3805629.html