Foot solidaire: contro la tratta dei giovani calciatori africani

Ci sono Drogba, Etoo e Ronaldinho. Le stelle stratosferiche. Poi c’è una pletora di invisibili, di sans-papiers del pallone globalizzato. Nessuno sa esattamente quanti siano, dal momento che per la maggior parte di loro il viaggio-speranza verso l’Eldorado del calcio si conclude con un naufragio che li consegna ad altri e miseri lavori, e alla clandestinità. Secondo Jean-Claude Mbvoumin, ex-nazionale dei leggendari Leoni Indomabili camerunensi, quelli che per primi rivelarono al mondo la qualità del calcio africano, sono migliaia. Nel 2000, Mbvoumin ha fondato Culture Foot Solidaire (http://www.footsolidaire.org/#)  di cui è il presidente, a sostegno dei tanti aspiranti calciatori del suo continente perduti alla ricerca del sogno. Culture Foot Solidaire ha raccolto le testimonianze di circa 600 ragazzi africani che presentano le analogie di un medesimo copione: la smania di cercare fortuna in Europa; l’esistenza di una rete di mediatori e agenti che si incaricano di organizzare i viaggi al nord; l’ingresso con un semplice visto turistico; il sequestro del passaporto da parte degli intermediari in loco, come avviene nel caso della tratta delle schiave della prostituzione, che li trasforma di colpo in clandestini in attesa di un ingaggio. Il 90% dei ragazzi contattati dalla Culture Foot Solidaire vive fuori dal suo paese di origine in stato irregolare. Per molti di loro il calcio è rimasto una chimera: hanno ripiegato su lavori di bassa manovalanza in nero.
L’offerta di calciatori in Africa è abbandonate e gli scout dei grandi club esplorano il continente a caccia di talenti giovanissimi secondo una logica che Raffaele Poli, ricercatore al Centro di studi sullo sport di Neuchâtel ha definito come perlopiù speculativa. Si tratta di una delocalizzazione produttiva, essendo i costi della formazione di un calciatore in Europa troppo elevati rispetto ai prezzi di acquisto di un giovane già addestrato. Ma accade che una prestigiosa accademia come la MimosSifcom in Costa d’Avorio sforni solo una cinquantina di giocatori a stagione, i quali peraltro aspirano ai massimi campionati europei. La pietra miliare di questa dinamica di mercato si è avuta nel 1995 con Ibrahim Bakayoko trasferito dallo Stade d’Abidjan al Montpellier Hsc per un valore pari a 15.000 euro. Tre anni dopo il giocatore ivoriano sarà venduto all’Everton per 7 milioni di euro. Ma il problema non risiede tanto in questi canali normati, quanto nel mercato parallelo; non è tanto quello dei giovani allevati nelle scuole calcio e nei pochi club africani, quanto quello dei dilettanti che si accalcano alla ricerca di un ingaggio fra i semiprofessionisti e nelle squadre dilettanti europee. Anche un salario di 1000 euro al mese vale l’avventura di queste figure di migranti e braccianti del pallone. Liberation ha pubblicato lo scorso 16 settembre la testimonianza di uno di questi ragazzi, Joseph, avvicinato a Yaoundè da un sedicente agente e finito in Francia, abbandonato a sé stesso e costretto per sbarcare il lunario a giocare in una squadra alsaziana per 400 euro al mese. Malgrado tutto, Joseph è uno dei pochissimi che ce l’hanno fatta: oggi è tesserato per il club svizzero Baulmes e ha documenti regolari per sé e la famiglia. Ma ogni volta che torna a Yaoundè organizza riunioni per allertare i giovani dei rischi che corrono cercando fortuna in Europa. Riferisce drammi e fatiche dell’esercito di riserva dei giocatori africani ai margini del mondo del pallone.

(Da: http://www.tifo-e-amicizia.it/spunti/riflessioni/articoli/art201-220/articolo214.htm)

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