Steve Jobs e il narcisismo produttivo

Alcuni anni fa lo psicologo Michael Maccoby, sulla scia di Kohut, ha illustrato il concetto di narcisismo produttivo. Si fonda sull’ipotesi che per avere successo è probabilmente necessario rendere produttiva questa fiducia che potremmo definire smisurata nelle proprie intuizioni, nel saperla trasformare in strategie aziendali e nell’organizzare le successive azioni. In tal senso il narcisismo si rivela utile se non addirittura necessario e si può così assumere che esista un narcisismo produttivo che consente di realizzare le grandi visioni personali e uno non-produttivo che si alimenta di illusioni grandiose che possono produrre clamorosi fallimenti. Questo è stato sinora Steve Jobs ma come lui molti altri a partire da Bill Gates al boss di Oracle Larry Ellison. I leader narcisisti produttivi sono individui indipendenti e non facilmente influenzabili, innovatori, dotati di una spiccata visione del futuro, strateghi efficaci, hanno successo negli affari per ottenere potere e gloria. Sono degli accentratori e vogliono imparare ogni cosa che possa influenzare lo sviluppo dell’azienda e dei suoi prodotti/servizi. Vogliono essere ammirati ma non amati. Sono in grado di perseguire i loro obiettivi in maniera aggressiva. Nel momento del successo corrono il rischio di perdere il contatto con l’ambiente. La loro competitività e il loro desiderio di riuscita li spingono continuamente verso nuove mete, nell’identificare i nemici da sconfiggere, in casi estremi e sotto stress possono manifestare comportamenti paranoici. Hanno bisogno di avere accanto a loro persone fiduciose, coscienziose, orientate alla concretezza e alla gestione operativa. Un’altra componente essenziale dei narcisisti produttivi consiste nella loro abilità ad attrarre le persone, attraverso il loro linguaggio convincono gli altri che ce la faranno a raggiungere quegli obiettivi che ora sembrano solo abbozzati. Molti li ritengono individui carismatici, abili oratori che sanno trasmettere entusiasmo e forti emozioni a quanti li ascoltano; in breve sanno far partecipare al loro sogno e sanno farlo sembrare realizzabile solo se vi sarà  l’impegno di tutti. Questo perché, nonostante la loro indipendenza, hanno comunque bisogno di avvertire la vicinanza degli altri. A questo riguardo, sono ormai parte della storia del XX secolo le parole di John F. Kennedy durante il suo discorso d’insediamento quando disse agli americani: “Ora l’appello risuona di nuovo: non ci chiama alle armi, per quanto le armi siano necessarie, non alla battaglia, per quanto già si combatta, ma a sopportare il peso di una lunga e oscura lotta che può durare anni…una lotta contro i comuni nemici dell’uomo: la tirannide, la miseria, la malattia e la stessa guerra…Pertanto, cittadini, non chiedete che cosa potrà fare per voi il vostro paese, ma che cosa potrete fare per il vostro paese.” Rappresentò un mattone significativo per la creazione del mito dei Kennedy, in quanto riuscì a trasmettere un solido messaggio di speranza e d’impegno, dopo il discorso inaugurale quasi tre quarti degli americani approvavano il loro giovane presidente. http://www.maccoby.com/Articles/NarLeaders.shtml  http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/09/01/quando-il-re-senza-eredi.html

 

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